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Pietro Aretino, la penna più corrosiva del Cinquecento (1° parte)

Irriverente, geniale, amante degli eccessi, antiaccademico, moderno: tutto questo è Pietro Aretino. Definito “divino” dall’Ariosto o “masnadiero della penna” dal Cantù, Pietro è uno di quei personaggi che non lasciano indifferenti: o si odia o si ama.



Pietro Aretino ritratto da TizianoIrriverente, geniale, amante degli eccessi, antiaccademico, moderno: tutto questo è Pietro Aretino.

Definito “divino” dall’Ariosto o “masnadiero della penna” dal Cantù, Pietro è uno di quei personaggi che non lasciano indifferenti: o si odia o si ama.

Figlio di Luca del Buta, ciabattino, e Margherita Bonci, appartenente a una distinta famiglia decaduta, l’Aretino nasce la notte tra il 19 e il 20 aprile 1492, ad Arezzo, nei pressi della chiesa di San Pier Piccolo.

Quando il futuro scrittore e le sorelle sono ancora bambini, il padre abbandona la famiglia per arruolarsi come soldato di ventura e la madre viene accolta dal nobile Luigi Bacci. L’abbandono provoca nel futuro letterato un rancore talmente radicato che, una volta cresciuto, decide di farsi chiamare Aretino, pur di non usare il cognome paterno.

La vena letteraria si manifesta precocemente: ancora adolescente Pietro scrive un sonetto polemico sulla vendita delle indulgenze da parte di papa Leone X. La cosa non passa inosservata, tanto che il Bacci, per timore della Santa Inquisizione, decide di far riparare il ragazzo a Perugia.

In terra umbra il giovane lavora come rilegatore di libri, sviluppa la passione per la letteratura e la pittura e non manca anche qui di creare scandali: un giorno “rifinisce” un dipinto, disegnando un liuto in mano alla Maddalena in ginocchio davanti a Gesù, giusto per prendere in giro l’autore dell’opera. Il clero grida subito al sacrilegio e l’impudente è costretto a fuggire a Siena da dove nel 1517, con in mano una lettera di presentazione per il banchiere Agostino Chigi, raggiunge Roma.

Nella città eterna l’Aretino lavora come domestico e pubblica una prima raccolta di opere varie. Con il tempo entra nella grazie del Chigi, anche grazie all’attrazione che il padrone sente verso di lui, che è furbescamente ricambiata. Non è un mistero infatti che, almeno nella fase giovanile della sua vita, Pietro preferisse la compagnia degli uomini a quella delle donne, come del resto era abbastanza di moda nel Rinascimento, specie negli ambienti frequentati da nobili e artisti.

 

Incisione di Pietro Aretino eseguita da Marcantonio RaimondiAlla morte del ricco banchiere lo scrittore entra alla corte di uno dei papi più chiacchierati di sempre: Leone X. In questo periodo, la penna del toscano diventa potente e temuta e i suoi scritti possono esaltare o distruggere anche le persone più in vista. L’Aretino inizia infatti a vendere lodi e ingiurie a caro prezzo, nascono così le sue famose “pasquinate”, dal nome di una statua (detta Pasquino) sita nei pressi di piazza Navona dove tutti gli anni, il 25 aprile, chiunque poteva appendere messaggi di qualsiasi natura e contro chiunque.

Nel 1521 Leone X muore e al potere sale l’olandese Adriano VI che, al contrario del precedente pontefice, è rigido e desideroso di riportare la Chiesa sulla retta via.

Le “pasquinate”, ormai celebri in tutta Italia e arma letale del letterato, vengono abolite e Pietro è costretto a lasciare Roma incalzato dalla curia che lo aveva incensato e che adesso lo considerava blasfemo. Soggiorna per brevi periodi ad Arezzo, Firenze e Bologna, quindi, nel febbraio 1523, raggiunge la corte dei Gonzaga a Mantova, dove rimane tra i più alti onori per mesi.

Alla morte di papa Adriano VI, il toscano ricompare a Roma alla corte del nuovo pontefice Clemente VII. Lo scrittore torna a essere uno dei punti di riferimento della cultura capitolina e stringe forti legami con il poeta aretino Bernardo Accolti e i pittori Giulio Romano e Sebastiano dal Piombo. Quest’ultimo lo ritrarrà per un dipinto tuttora conservato, in cattive condizioni, nel Palazzo Comunale di Arezzo.

Un giorno il Romano disegna una serie di sedici immagini pornografiche, incise poi da Marcantonio Raimondi. Il tutto finisce nelle mani del datario apostolico Giovan Matteo Giberti e scoppia lo scandalo. Il Raimondi viene incarcerato e solo grazie all’intervento dell’Aretino è subito rimesso in libertà.

 

Immagine tratta dai Sonetti LussuriosiIn seguito, anche per indispettire il Giberti, Pietro scrive le didascalie di quelle incisioni con testi oltraggiosi e osceni per i tempi, pieni zeppi di riferimenti a vizi carnali di uomini e donne (anche di chiesa), intitolati Sonetti Lussuriosi (non è ancora chiaro se vennero prima le incisioni e poi i sonetti o viceversa. Noi teniamo per buona la prima ipotesi).

In questa circostanza il papa non se la sente di proteggerlo, così il letterato è costretto per l’ennesima volta a lasciare la città e rifugiarsi presso l’amico fraterno Giovanni de’ Medici, detto dalle Bande Nere, famoso capitano di ventura. Dopo qualche mese Clemente VII perdona il poeta e lo richiama a Roma, ma l’attrito con il Giberti, sul quale l’Aretino ne scrive di cotte e di crude, è ormai insanabile. Il datario apostolico arriva a ingaggiare un sicario per uccidere il corrosivo scrittore...

(appuntamento alla prossima settimana per la seconda e ultima parte della vita di Pietro Aretino)



scritto da: Marco Botti, 28/09/2012





COMMENTI degli utenti

Commento 1 - Inviato da: Andrea Avato, il 28/09/2012 alle 14:35

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Letto d'un fiato!!! Smile

Commento 2 - Inviato da: DaM, il 28/09/2012 alle 14:52

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Destino comune dei piú grandi, parlar male del potere, e dal potere essere banditi, specie se religioso. Eppure la storia non gli ha certo dato torto.

Commento 3 - Inviato da: il ferro, il 28/09/2012 alle 18:59

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penso che nessun articolo che parla de l'Arezzo l' ho letto così parola per parola......

benchè fri-fri (scusa amico,m'è scappato) era il più forte di tutti......

basta leggere i sonetti......o l'epitaffio

Commento 4 - Inviato da: DaM, il 28/09/2012 alle 21:02

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Ferro Ferro non perdi occasione Kiss

Commento 5 - Inviato da: il ferro, il 28/09/2012 alle 21:29

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per ribadire che l'intellighenzia prescinde.....