SERIE D GIRONE E - 1a giornata
Flaminia | 4 set | 15 | Livorno |
Gavorrano | 4 set | 15 | Tau Altopascio |
Ghiviborgo | 4 set | 15 | Ponsacco |
Orvietana | 4 set | 15 | Arezzo |
Poggibonsi | 4 set | 15 | Grosseto |
Sangiovannese | 4 set | 15 | Ostiamare |
Seravezza | 4 set | 15 | Città di Castello |
Trestina | 4 set | 15 | Pianese |
Terranuova | 4 set | 15 | Montespaccato |
Giorgio Ciofini, il pagellatore
I suoi sono gli articoli più letti del lunedì aretino. Ironia e sarcasmo, sapientemente dosati, fanno arrabbiare i calciatori da oltre vent’anni. Lui si difende: “Non sono un censore, quando l’Arezzo gioca bene do i voti più alti di tutti. Però non sopporto l’omologazione, le pagelle sono uguali ovunque, scritte con lo stesso stile. In provincia si può osare”. Una simpatica chiacchierata su calcio e giornalismo, parlando di Bondi, Floro Flores, Tovalieri, Meroi, Beppe Viola, Cannavò. Per concludere che il conformismo oggi dilaga.
Tweet“Guarda che io i voti li abolirei, lascerei solo i giudizi. Le pagelle dei calciatori sono interessanti per l’analisi della prestazione, non per il 4 e mezzo o il 7”.
Detto da Giorgio Ciofini, che su voti e votacci ha costruito il suo personale stile giornalistico, diventando di gran lunga la firma più letta del lunedì mattina aretino, suona un po’ bizzarro. Eppure è vero, questa tesi l’ha sempre sostenuta, ci sono schiere di colleghi, me compreso, che possono testimoniarlo. In effetti lui non ci perderebbe granché: a strappare al lettore una risata compiaciuta, un sorriso a denti stretti, oppure a provocare autentici travasi di bile, a seconda del tenore dell’articolo, più dei numeri sono i giudizi vergati da Giorgio a caldo, anzi a caldissimo.
“Io mi sento un tifoso, la partita la vivo con l’animo del tifoso, voglio vincere – dice lui. Quando l’Arezzo perde, oppure gioca male, scrivo ciò che ho visto. Le pagelle vengono da sole, di conseguenza”.
Messa così sembrerebbe pura routine, invece gli articoli del lunedì hanno provocato in passato, provocano oggi e provocheranno finché Giorgio scriverà, autentici terremoti. I calciatori, generalmente, sono permalosi e se la prendono per un nonnulla. Figurarsi quando aprono il giornale e si ritrovano messi alla berlina dall’ironia sferzante che caratterizza Ciofini, mite e bonario fino a quando non appoggia le dita sulla tastiera.
“Che posso farci se l’omologazione non mi piace? Oggi le pagelle sono tutte uguali, scritte più o meno con lo stesso stile. In provincia, per fortuna, possiamo permetterci di osare un po’ di più”.
Ma tu ti diverti a fare arrabbiare i giocatori o ti meravigli ogni volta delle loro reazioni?
“Dipende dai casi. Fondamentalmente li capisco, non è semplice accettare di essere giudicati e criticati. Poi ognuno ha il suo carattere. Comunque, potessi, non scriverei più pagelle”.
Adesso non esagerare, non ci crede nessuno.
“Allora diciamo che non mi riconosco nel ruolo del censore. Mi piace interpretare gli stati d’animo degli sportivi, di quelli che incontro allo stadio, a fine partita, e mi suggeriscono di scrivere questo o quello. Nel bene e nel male, ci tengo a sottolinearlo”.
Soprattutto nel male.
“Non è vero. Io, quando l’Arezzo gioca bene, do i voti più alti di tutti. I giudizi sono sempre soggettivi ma un giornalista deve sforzarsi di essere il più oggettivo possibile”.
Nelle tue stilettate, che spesso colpiscono il bersaglio, c’è sarcasmo, compiacimento o cos’altro?
“C’è l’adrenalina della partita, come dicevo prima. Certi miei giudizi sono corrosivi, un po’ esasperati, perché il tifo, il calcio stesso, ti spingono a esagerare. I giocatori sono professionisti, queste cose le sanno. A volte non critico il singolo calciatore ma i vizi di uno sport che sta peggiorando”.
Di Fabio Roselli quest’anno hai scritto: “corre, corre, corre. Ma dove corre?”. E gli hai dato un votaccio. Lui se l’è presa, lo sai?
“Me l’hanno detto. Ma figuriamoci se ce l’ho con lui, è che l’Arezzo conta più dei singoli e non posso derogare dallo scrivere ciò che penso, a costo di dare votacci. Anche se, lo ripeto, quando le cose vanno bene sono di manica larga, larghissima”.
Un tuo giudizio su Bondi, mi pare dopo Arezzo-Taranto: “E’ l’unico brasiliano che la nostalgia del Brasile la fa venire a chi lo guarda giocare”. E giù un altro voto terribile. Bondi da quel giorno non viene più in sala stampa.
“Volevo smontare il luogo comune secondo cui i brasiliani soffrono sempre di nostalgia. Bondi è forte ma in quel periodo non andava. Ti dirò che non era tanto una critica a lui, quanto a chi aveva costruito una squadra che non si capiva quali problemi avesse”.
E che mi dici del -1 che hai dato a Floro Flores l’anno scorso? A Floro Flores, non a un giocatorino qualsiasi.
“Me lo ricordo bene. Erano passati tre mesi dall’inizio del campionato e l’Arezzo in classifica era ancora a -1 per colpa della penalizzazione. Floro aveva fatto un gol alla prima giornata e stop, dava la sensazione di essere un corpo estraneo, di giocare col solo desiderio di andarsene alla svelta. Gli detti un voto sotto lo zero perché quel giorno ebbi il terrore che fossimo già retrocessi”.
Per chiudere con gli aneddoti: a Tovalieri una volta hai affibbiato 1 in pagella, facendolo andare in bestia. E’ vero?
“Verissimo. A Verona contro il Chievo sbagliò un gol che avevo visto sbagliare solo a Chiodi del Milan, negli anni ’70. In pratica, riuscì a tirare sopra la traversa calciando dalla riga di porta. Io lo chiamavo “Tovaglia”, gli volevo bene perché era forte, ma lo criticavo quando non si impegnava. Quella volta venimmo quasi alle mani. Beh, Tovalieri l’ho rivisto qualche tempo fa, dopo vent’anni, e mi ha fatto una festa che non ti dico. Non me l’aspettavo, ne sono stato felicissimo”.
Mai successo che il giornale ti abbia censurato le pagelle?
“E’ successo, sì. Ma sono cose che risalgono a un passato molto lontano, per fortuna”.
E invece ti sei mai sentito in colpa, rileggendo il tuo pezzo il lunedì mattina? Hai mai pensato che avevi calcato troppo la mano?
“E’ capitato e capiterà ancora, probabilmente. Tutti sbagliamo, l’importante è che gli errori non condizionino il modo di vedere i fatti”.
Giorgio, hai avuto un giornalista da prendere a modello?
“Uno che ammiravo molto era Beppe Viola, bravissimo, il numero uno, di un’ironia e di una leggerezza ineguagliabili”.
Tu quanto sei diverso dal giornalista di trent’anni fa?
“Sono diverso di sicuro, quanto non lo so. Di identico rispetto a trent’anni fa mi è rimasto lo spirito, ma intorno a noi è cambiato tutto: il mondo, il linguaggio, i media, il calcio, la stampa sempre più conformista. Oggi è più difficile trovare il Beppe Viola della situazione, oppure il Sivori della situazione”.
C’è qualcuno, tra giornalisti e calciatori, che è riuscito a sfuggire a questa omologazione generale?
“Direi Candido Cannavò. E poi Paolo Maldini: ha avuto molto meno di ciò che meritava. Nel suo ruolo è stato il più forte in assoluto per vent’anni, giocando sempre nella stessa squadra, che non è un dettaglio trascurabile”.
Il tuo amore per l’Arezzo da cosa nasce, da un episodio particolare o da una tradizione di famiglia?
“Il merito è di mio fratello Sergio, che ha 15 anni più di me e mi ha fatto da padre. Quando ero piccolo mi portava al vecchio stadio Mancini a vedere le partite: lì è nata la passione e gli amori di gioventù non ti abbandonano mai”.
Giorgio Ciofini calciatore com’era?
“Giocavo nei ragazzi dell’Arezzo. L’unica volta che a scuola sono stato rimandato a ottobre, mia mamma mi ha fatto smettere precocemente col pallone”.
Il primo ricordo legato all’Arezzo qual è?
“Arezzo-Carbosarda 7-1. Credo fosse il 1960 o giù di lì. Ero un bambino ma ho ancora addosso quella sensazione di felicità immensa che provai. Il risultato della partita mi condizionava l’umore e ancora oggi, in certi frangenti, mi succede la stessa cosa”.
Ora ho un domandone da farti. Voglio la tua formazione ideale, cominciando dal portiere.
“Giuliano Giuliani. All’epoca c’era un forte dualismo tra lui e Giacinti, io parteggiavo per Giuliani. Grande portiere con un tragico destino”.
Libero chi metti?
“Tonani o Micelli, diversi ma fortissimi entrambi”.
Stopper?
“Carrozzieri”.
I due terzini.
“A destra metto il primo Di Loreto. A sinistra è più difficile: ci sono Butti, Carboni, Pasqual. Dico Carboni, se non altro perché ad Arezzo ero tra i pochi a difenderlo”.
Mediano, mezz’ala e regista. O, per dirla come ai vecchi tempi, il numero 4, il numero 8 e il numero 10.
“Un mediano coi fiocchi è stato Camozzi, mentre il numero 8 lo diamo a Menchino Neri. Regista non può che essere Fara, con Dell’Anno riserva. Anche lui lo sostenevamo io e pochi altri”.
Manca il trio d’attacco.
“Centravanti Meroi, ala destra Flaborea, seconda punta Graziani”.
Già che ci siamo, troviamo pure un allenatore e un presidente.
“Cosmi in panchina, Lebole alla presidenza”.
Il giocatore che hai amato di più chi è?
“Meroi. All’epoca non facevo ancora il giornalista, però giocava sempre da 7 in pagella. Meroi era il calcio, aveva fantasia, tecnica, estro, segnava valanghe di gol. Era imprevedibile, non sapevi mai cosa aspettarti da lui”.
Oltre al calcio e al giornalismo, hai una laurea in lettere e filosofia custodita gelosamente nel cassetto.
“Diploma al liceo classico, laurea a Firenze nel ’75 con una tesi in lettere moderne. Lo studio però ha risentito della mia infatuazione calcistica, sottraevo ai libri tempo prezioso”.
Tu sei uno che ha sempre preferito la carta stampata alla tivù. Perché?
“Perché sono un tipo schivo. La televisione è più gratificante nell’immediato, ma scrivere consente di esprimersi con maggiore compiutezza”.
Quanti anni sono che firmi sul Corriere?
“Tanti, veramente tanti. Quando ho cominciato si chiamava ancora Corriere aretino, poi diventò Gazzetta di Arezzo e adesso Corriere di Arezzo. Fu Romano Salvi a chiamarmi, insieme a Gigi Alberti. Io comunque i primi articoli li ho scritti per La Nazione”.
Tua moglie come fa a sopportare la convivenza con il calcio?
“Gli anni duri sono stati all’inizio, quando c’eravamo appena conosciuti. Io seguivo la squadra anche in trasferta, per il giornale. A volte stavo fuori tutto il week end e la Luana sopportava. Pensa che non sono mai riuscito a portarla allo stadio. Mai. Oggi le cose sono migliorate”.
Come vi siete conosciuti?
“Lei è di Milano, passavamo le vacanze nella stessa località, a Monterone. E’ l’ultimo comune della provincia di Arezzo”.
E tua figlia Martina che dice?
“La cosa che mi ripete più spesso è che ha quasi 18 anni, anche se a me non sembra vero”.
Ti possiamo considerare un iscritto al partito del calcio d’attacco?
“Certo che sì. Io sono stato sempre un innovatore, il calcio del Trap non mi è mai piaciuto. Mi schierai subito con Sacchi, lì ci fu la svolta per il nostro calcio, nel solco dell’esperienza di Viciani. Attaccare è più bello”.
Non a caso sei stato un difensore di Pasquale Marino.
“Marino fu vittima di atroci preconcetti, lo difendevo per questo. Oggi ormai gli allenatori giocano con tre difensori, con tre punte, con l’albero di Natale, col rombo, la difesa alta. Non c’è un unico sistema che garantisce il risultato, tutt’altro. Quello che conta è l’equilibrio”.
Chiudiamo con l’attualità. Cosa vedi nel futuro dell’Arezzo, a prescindere dal mercato ancora aperto?
“E chi lo sa? Mancini è un presidente imprevedibile. Ultimamente l’ho sentito sostenere che vuole prendere l’Empoli come modello. Lo spero, vorrebbe dire fare tutto il contrario di ciò che ha fatto finora. Però ultimamente mi pare cambiato il presidente, più riflessivo, più disposto ad ascoltare gli altri. Speriamo”.
Gioco della torre. Chi butti di sotto tra Mancini e Bovini, gli ultimi due presidenti?
“Bovini non posso buttarlo, era un bonaccione. E non aveva tanti soldi per fare il presidente”.
Tra gli ultimi due uomini mercato, cioè Fioretti e Pieroni?
“I direttori sportivi li butterei tutti, tranne Walter Sabatini e quelli dei vecchi tempi, alla Zampolin per intendersi”.
Tra Marino, Somma e Gustinetti?
“Somma, perché penso che bisogna essere uomini a 360 gradi”.
E infine: tra Abbruscato e Floro Flores?
“Se proprio mi costringono, butto Elvis. Aveva meno qualità di Floro, però è vero che ad Arezzo ha lasciato il segno. Non butto nessuno”.
scritto da: Andrea Avato, 25/01/2008
Tweet