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SERIE D GIRONE E - 1a giornata

RISULTATI CLASSIFICA PROSSIMO TURNO
Flaminia4 set15Livorno
Gavorrano4 set15Tau Altopascio
Ghiviborgo4 set15Ponsacco
Orvietana4 set15Arezzo
Poggibonsi4 set15Grosseto
Sangiovannese4 set15Ostiamare
Seravezza4 set15Città di Castello
Trestina4 set15Pianese
Terranuova4 set15Montespaccato
MONDO AMARANTO
Pepone durante il suo addio al celibato
NEWS

Paolo Scotti, per sempre amaranto

Era lui il trascinatore dello spogliatoio nell’anno dell’ultima promozione in serie B. E’ lui il difensore che dopo un intervento gladiatorio su un avversario, venne applaudito dal pubblico come se avesse segnato un gol. Ancora oggi è lui il protagonista più amato di una stagione che resterà negli annali. Da Somma a Marino, da Cari a Mancini, da Abbruscato a Bondi, passando per Bricca, Baclet, Fanucci e Pieroni. Una lunga chiacchierata di calcio e non solo con un ragazzo alle soglie degli anta che degli aretini si è fatto un’idea precisa: “Pane al pane e vino al vino. Sono proprio come me”.



Paolo Scotti, stagioni indimenticabili in amarantoDi quella squadra che stravinse il campionato nel 2004, riconquistando la B che mancava da 16 anni, lui era il capitano, il simbolo e uno dei giocatori più amati. Più di Serafini e Pagotto, più di Gelsi e Pasqual. Per i tifosi, in cima alla lista dei beniamini c’erano Elvis Abbruscato, che l’affetto se lo conquistava con i gol, e Paolo Scotti, un difensore gladiatorio, uno che in campo dava l’anima e che aveva un carisma fuori dal comune. Con Arezzo fu amore a prima vista e anche oggi, nonostante Scotti in amaranto ci sia rimasto soltanto due stagioni, quel sentimento di riconoscenza reciproca non è sfumato. Anzi. Per Abbruscato, come detto, far parlare i gol era più facile, più immediato e più fascinoso. Scotti faceva parlare l’attaccamento alla maglia. Non che i suoi compagni non l’avessero, però lui impersonava a tutti gli effetti il prototipo del capitano, giocava e si comportava da leader, da punto di riferimento. Dalle tribune si notava a vista d’occhio questa carica che emanava da ogni intervento. L’apice venne raggiunto sul finire del girone di andata. Contro il Novara, Scotti si lanciò all’inseguimento dell’attaccante avversario, penetrato in area amaranto. Gli recuperò due metri in velocità, poi affondò il tackle in scivolata e colpì pulito il pallone. Fu un salvataggio da difensore vero che il pubblico festeggiò come un gol decisivo. Tutti in piedi a battere le mani al capitano, trenta secondi da brividi per chi stava fuori a guardare, figurarsi per lui che gli applausi se li sentì arrivare dentro al cuore. Oggi Paolo Scotti, ormai alle soglie degli anta, lavora nel calcio ma con veste diversa. Sempre elegante e impeccabile, ha conservato lo spirito che gli valse tante simpatie quando giocava. Parlarci è stimolante e però lui, dopo aver appeso le scarpette al chiodo, si sente diverso: “Da calciatore non mi sono goduto niente, nemmeno la vittoria del campionato ad Arezzo. Non me la sono goduta in pieno, intendo dire. Andavo sempre di corsa, pure con la mente. Ho capito dopo che la vita va apprezzata, non bisogna dare niente per scontato”.

Beh, gli aretini ti hanno apprezzato molto, questo è innegabile.

“L’aretino è simile a me come carattere, è pane al pane e vino al vino. Però ha un difetto: non si fa i cazzi suoi, qua il pettegolezzo è di casa, come in tutta la Toscana forse”.

Torni spesso?

“Torno sempre. Arezzo è casa mia, mi sento il cuore amaranto. Non è piaggeria, è la verità”.

Arezzo-Novara, il giorno della tua prodezza da difensore di razza, applaudita come un gol. Ricordi?

“Ricordo come fosse ieri. Quella stagione ce l’ho tutta nelle mente”.

Mi dici un’immagine di quel campionato, una sola, che ti è rimasta più impressa delle altre? Magari un’immagine diversa dalla nebbia di Lumezzane o dalla festa col Varese.

“La faccia nostra quando facevamo gol. Le espressioni che avevamo sul viso: gioia, rabbia, determinazione. Non potevamo non vincerlo quel campionato”.

Che pure era cominciato nella depressione più totale.

“Mi ricorderò sempre il primo giorno che arrivai ad Arezzo. Mi presentai allo stadio, era un caldo tremendo e non c’era nessuno. Sai cosa vuol dire nessuno? Ma anche la prima partita col Cittadella la giocammo con gli spalti vuoti. Prima di entrare in campo ci affacciammo dalla finestrella dello spogliatoio, la tribuna era deserta”.

Dall’indifferenza all’Arezzo-mania il passo fu breve. Come fu possibile?

“Eravamo una novità, dovevamo giocare in C2 e ci ripescarono in C1. Partimmo bene, creammo subito l’atmosfera ideale. Diciamo che avevamo le alchimie giuste”.

A distanza di cinque anni, cos’è che vi fece vincere il campionato?

“Eravamo un gruppo forte e per forte non intendo solo dal punto di vista tecnico. Eravamo forti anche nella testa. La società quell’anno non ci fece mancare niente, il direttore era bravo, l’allenatore era un talento. Per questo vincemmo”.

Ti senti ancora con Mario Somma?

“Ogni tanto sì”.

E’ un momento un po’ tribolato della sua carriera. Che idea ti sei fatto?

“Somma è un grande allenatore, in certe situazioni va capito e schermato. E’ un artista, ecco, e come tutti gli artisti ha dei picchi in alto e dei picchi in basso. Se trova una società che riesce a farlo ragionare, lui non teme rivali. E’ uno che divide: o lo ami o lo odi”.

E di Cari che mi dici?

“Non lo conosco di persona. Mi sembra bravo, i risultati stanno parlando chiaro. E mi sembra anche un uomo molto pacato e tranquillo. Quando ero a Salerno, giocai contro il suo Teramo. C’era pure Rafa Bondi”.

Il gol segnato in B al Comunale contro il GenoaCari è appena appena diverso da Somma.

“Su questo non c’è dubbio”.

L’Arezzo di quest’anno somiglia al tuo Arezzo o no?

“Non voglio fare paragoni, questa squadra l’ho vista giocare poche volte e dare giudizi non mi va. E’ forte, è sopra gli standard della categoria, spero che molti di questi giocatori arrivino in A o in B come è accaduto ai miei compagni”.

Può vincere il campionato secondo te?

“Come valori tecnici sì. Per vincere il campionato però serve anche una società che protegga il gruppo e l’allenatore. Se giocatori e tecnico si sentono allo scoperto, allora diventa più difficile”.

Cosa ti piace dell’Arezzo?

“I tre là davanti, superiori alla media. Oh, ultimamente uno dei cannonieri del girone è finito in panchina. Ci rendiamo conto?”.

Baclet, Chianese o Martinetti?

“Dico Baclet. Carta canta, ha segnato più di tutti. Io l’ho conosciuto Baclet”.

Già, è vero.

“Estate 2005, Pieroni mi aveva messo fuori rosa, andavo ad allenarmi a Palazzo del Pero insieme a Venturelli, fuori rosa pure lui, e c’era anche Baclet. Era un ragazzino, aveva i numeri ma era proprio matto”.

Ora è migliorato molto sotto questo aspetto.

“E si vede. E’ diventato un giocatore vero, può ambire a traguardi importanti”.

La tua fascia di capitano l’ha presa Bricca. Ti piace come erede?

“Mi piaceva Mirko Conte prima e mi piace Andrea adesso. E’ un ragazzo d’oro fuori dal campo ed è un giocatore fondamentale. Guarda che lui ha giocato con tutti gli allenatori che ha avuto”.

Lo so.

“Mica è un caso, vuol dire che ha qualità. E soprattutto ha voglia di arrivare, di migliorarsi”.

Prima hai citato Bondi.

“Persona meravigliosa. Non c’entra niente con le bruttezze del calcio”.

Da difensore, mi dici come ti sembrano Terra e Fanucci?

“Bella coppia. Qualcuno dice che sono simili, ma non mi pare. Terra è più alto, Fanucci più esplosivo, si completano bene. E poi Fanucci è amico di Elvis, non posso parlarne male”.

Elvis come sta?

“Elvis è una bestia. Ero a Siena a vedere la partita quando lui si è fatto male. L’ho accompagnato all’ospedale, sono stato in clinica a Roma quando si è operato. Ha avuto un infortunio serio, eppure non l’ho mai sentito lamentarsi per il dolore. Impressionante”.

Addirittura da qualche parte è stato detto e scritto che la sua carriera era a rischio.

“Balle di voi giornalisti. Elvis sarà più forte di prima, garantisco io”.

Tornando all’argomento, l’Arezzo può andare in B?

“Se la società si comporta come si comportò con noi, l’Arezzo vince il campionato. Qua uno come Togni va in panchina, pensa che organico c’è”.

Il fatto che tu sottolinei il ruolo fondamentale della società, mi fa pensare che hai qualche timore al riguardo.

“L’altro giorno sono passato a salutare Nanni e la Mimma, i magazzinieri dell’Arezzo. Parlavamo della nostra promozione e la cosa che più mi dispiace è che noi potevamo aprire un ciclo. Invece è stato tutto raso al suolo”.

Beniamino dei tifosi nell'anno della promozioneE’ il grande cruccio dei tifosi.

“Per la partita col Varese c’erano dodicimila persone allo stadio. Mi ricordo ancora la montagna di soldi dell’incasso, lì sul tavolo della segreteria. Ma perché la società non si è mai avvicinata alla gente? A volte basta una porchetta fuori dallo stadio per migliorare le cose”.

Tu dici che se fosse stato confermato il gruppo della promozione…

“Ma anche se fosse stato confermato Gustinetti. Non è mai accaduta una cosa del genere, è un errore per me”.

Cosa diresti a Mancini?

“Mancini ritiene di aver dato tanto alla città e di aver ottenuto poco. Ha portato l’Arezzo in B, ha investito soldi veri, ha acquistato grandi giocatori e i tifosi protestano lo stesso. Però gli direi di fare un passo verso la gente. Se semini, poi raccogli”.

E’ vero che sei stato sul punto di tornare ad Arezzo?

“Sì, nel 2007. Mi chiamò Rondini, mi propose di allenare gli Allievi. Ci pensai un po’ e dissi di no. Avevo cominciato un altro lavoro, non me la sono sentita di accettare e rischiare di essere cacciato dopo un anno. Non ci vedevo un progetto a lungo termine, anche se la proposta di Rondini mi fece piacere”.

Quant’è che non ti vedi con Mancini?

“Un bel po’. A volte mi prende voglia di andarlo a trovare, vorrei parlarci e dargli dei consigli. Forse un giorno lo farò”.

Per chiudere. Dimmi la partita che porti nel cuore.

“Arezzo-Padova e Arezzo-Rimini. Due vittorie di misura, partite toste che vincemmo con il carattere”.

La partita che vorresti cancellare.

“Crotone-Arezzo 2-0. Marino venne esonerato dopo quella sconfitta e mi dispiacque un casino. Il mister ci aveva chiesto una prestazione di spessore, una prova d’orgoglio e invece giocammo proprio male. Toccammo il fondo, a fine partita mi incazzai con tutti dentro lo spogliatoio”.

Abbiamo parlato di Somma, di Cari. Dimmi di Marino.

“Fece fatica a tirare su un rapporto buono con l’ambiente. Veniva dopo Somma che era un compagnone, uno che si faceva ben volere. Invece Marino era chiuso, non si sapeva vendere e poi, obiettivamente, subì un trattamento troppo pesante da certa stampa. Però insegnava calcio. Io a 35 anni con lui mi sono proprio divertito”.

Con quali compagni sei rimasto in contatto?

“Tanti. Gelsi, Elvis, Serafini, Pasqual, Lavecchia. Il primo anno dentro lo spogliatoio c’era un feeling più forte, il secondo andò diversamente. Come diceva Massimino, non comprammo l’amalgama”.

E Venturelli?

“Numero uno, con lui siamo amici amici”.

Paolo, cosa c’è nel tuo futuro?

“La mia famiglia, mia moglie Katia e le mie figlie, Rachele di nove anni e Benedetta di quindici mesi. Voglio solo serenità, senza pensare troppo al domani. Altrimenti faccio lo stesso errore che ho commesso da giocatore, invece voglio godermi il presente”.

 

scritto da: Andrea Avato, 25/12/2008