SERIE D GIRONE E - 1a giornata
Flaminia | 4 set | 15 | Livorno |
Gavorrano | 4 set | 15 | Tau Altopascio |
Ghiviborgo | 4 set | 15 | Ponsacco |
Orvietana | 4 set | 15 | Arezzo |
Poggibonsi | 4 set | 15 | Grosseto |
Sangiovannese | 4 set | 15 | Ostiamare |
Seravezza | 4 set | 15 | Città di Castello |
Trestina | 4 set | 15 | Pianese |
Terranuova | 4 set | 15 | Montespaccato |
Corrado Pilleddu, il più amato di tutti
Il centravanti dai lunghi capelli, il ritratto della generosità, il beniamino dei tifosi, il protagonista della promozione del ’98, racconta la sua carriera, la sua vita, il suo periodo in amaranto, gli affetti e il modo di vivere il calcio. Il solito, impagabile, generoso Bobo!
TweetCorrado Pilleddu detto Bobo, classe ’67, genovese, centravanti, 22 gol in amaranto in una stagione e mezza tra il ’97 e il ‘99, una promozione in C1, è stato uno dei calciatori più amati della storia recente dell’Arezzo. Perché Bobo ha una carica e un carisma che lo rendono unico e che emergono anche da questa intervista.
Qual è il primo ricordo che ti viene in mente se pensi ad Arezzo?
“La telefonata di Graziani. Pensavo fosse uno scherzo, poi riconobbi la voce e l’emozione e l’orgoglio di parlare con un personaggio così importante furono grandi”.
Fra te e l'ambiente nacque subito un feeling spontaneo e solido. Quale è stato il segreto del tuo successo da questo punto di vista?
“La gente ha bisogno di emozionarsi, di rapporti sinceri con i giocatori, non di snob che si credono padreterni. Ancora oggi l’affetto di molti tifosi mi fa capire di aver lavorato bene nella mia carriera”.
Il primo anno segnasti 14 gol. A quale sei più affezionato?
“Ce ne sono diversi. Quello alla prima al Comunale, contro la Maceratese sotto la curva. A Tempio perché non segnavo da un mese e mezzo, finii in panca e subentrai a Lupo firmando il gol vittoria su assist alla Beckham di Baiocchi, che ringrazio ancora adesso. Con quel gol mi rialzai e diventai più forte di prima. Ne ricordo uno in casa col Tolentino. C’era la contestazione verso Graziani, comparve lo striscione “Ciccio vattene” in tribuna. Segnai un gol di testa incredibile e misi tutto a posto. Il piacere fu di aiutare Graziani in quel momento”.
Ti capita mai di rivedere i filmati, oppure le foto, oppure di rileggere gli articoli di giornale di quel periodo?
“Continuamente. E che lacrimoni che scorrono… E’ un’emozione fortissima, un condensato micidiale. Rivedermi scorrazzare con i capelli al vento è una goduria unita a tanta malinconia”.
Che squadra era quell'Arezzo che vinse i play-off di C2?
“Uomini veri, sinceri e leali. Ottimi giocatori che fino a quell’anno ancora non erano esplosi, chi per l’età e chi per altri motivi. Eravamo motivatissimi anche per merito di Cosmi che insieme a Graziani ci aveva seguito e poi acquistato. Mi sento ancora con diversi di loro, c’è un legame che non si spezza”.
Come fu il tuo rapporto con Cosmi?
“Serse per un giocatore come me era il mister ideale. Scherzoso, alla mano, intelligente ma anche severo. Leggeva bene le situazioni e gli umori, quindi giocava d’anticipo. Mi faceva giocare centravanti puro ma io correvo a destra e sinistra come un pazzo e allora mi strillava di stare in mezzo. Aveva ragione lui. Personalmente trovai un amico, con tutta la sua famiglia ci fu un rapporto forte. Ricordo con gioia le serate a Perugia con gli amici perché si respirava un’aria bellissima, insieme ci divertivamo da pazzi”.
Mi racconti un paio di aneddoti della tua esperienza ad Arezzo?
“Ce ne sono migliaia ma per capire lo spirito di quella squadra basta pensare al ritiro all’Elba prima dei play-off di C2. Fu una scelta coraggiosa da parte di un mister e di una società che valutavano anche altri fattori oltre agli allenamenti. Gli altri in montagna a bollirsi in ritiro, noi ad allenarci seriamente ma in un contesto vacanziero e rilassato”.
L'anno dopo in C1 te ne andasti a gennaio. Hai rimpianti? O fu giusto in quel modo?
“A ottobre come presidente arrivò il simpatico Bovini, che per prima cosa dichiarò al Corriere dello Sport, pagina nazionale, che nella nostra squadra non c’erano intoccabili, compresi i “mostri sacri” con chiaro riferimento al sottoscritto. Dozzini insieme al diesse Sabatini cominciarono a preparare il terreno per una mia cessione. Io sarei rimasto, stavo bene ad Arezzo, ma in società non mi volevano più. Comprarono Zampagna e a mia insaputa mi cedettero al Foggia. Giocai a Lecco già venduto, nemmeno Serse sapeva niente. Ricordo che con Sabatini ci incontrammo come ladri in un albergo e io ero piuttosto alterato, offesi pesantemente lui e tutta la società perché si erano fatti i loro calcoli e il lato umano in certi casi non conta, diventi carne da macello. A Foggia andai in prestito, ma il rancore per quella vicenda non mi passò e a giugno mi vendettero alla Nocerina. Con Sabatini dopo diventammo veri amici, anche perché mi portò da Nocera al paradiso di San Benedetto del Tronto e si riabilitò definitivamente”.
Il tuo rapporto con Minghelli. Come hai vissuto la sua malattia? Come hai preso la sua scomparsa? Come vivi il suo ricordo?
“Era unico. E’ rarissimo trovare un uomo con certi principi e valori: buono, generoso, simpatico, amico sincero, grande giocatore, burlone. Quando andai a Foggia, lui era negli Stati Uniti per le visite. Mi chiamò e mi disse: “Bobo, ho la sclerosi…”. Mamma mia…Gli dissi di venire da me per stare un po’ insieme. Una sera uscimmo e ci fermarono i carabinieri, era tardi, ma che risate. Non capivano perché fossimo a Foggia, io di Genova e lui di Modena. Quando capitano certe cose bisogna riflettere ma si rischia di cambiare approccio alla vita e diventare fatalisti, oggi ci sei e domani non si sa. Avrei voluto fare di più, come tutti quelli che gli volevano bene. Mi rimane il ricordo di un ragazzo meraviglioso in questo mondo infame di bugiardi e opportunisti”.
All'Arezzo hai segnato 3 gol: due col Ponsacco e uno, da ex, con la Nocerina. Soprattutto quest'ultimo, è stato un gol speciale per te?
“A Ponsacco pioveva che Dio la mandava. Feci una scivolata vicino alla panchina di Serse e lo infangai da capo a piedi. Lui mi mandò affanculo. Dopo poco incornai in rete a Mosconi e segnai pure al ritorno. Fui acquistato anche per quelle reti. Il gol con la Nocerina ebbe un significato diverso, ero un ex. Incrociai Sabatini nel prepartita e lui faceva finta di niente. Lo fermai, gli dissi: “che fai, non mi saluti?”. Era nervoso come sempre, mi disse di non fare gol. L’Arezzo segnò con Antonioli, io pareggiai nella ripresa. Alla fine andai a regalare la mia maglia allo sparuto gruppo di tifosi dell’Arezzo che mi aveva comunque fatto dei cori. Mi presi una bordata di fischi dai nocerini e rischiai parecchio, ma poi capirono il mio gesto. Al ritorno al Comunale ero troppo emozionato per segnare…Che accoglienza, che festa sotto la curva. E qualcuno rosicò”.
Dopo Arezzo hai giocato con Foggia, Nocerina, Samb, Latina, Olbia. Dov'è che hai lasciato il cuore e perché?
“Latina senza dubbio. Lo stadio è simile a quello di Arezzo, la curva uguale identica alla vecchia sud. Mi hanno amato e mi amano ancora, ho un legame forte anche con i colori nerazzurri ma niente di paragonabile con l’amaranto”.
L'episodio della rissa in campo con relativa squalifica cos'è stato: un incidente di percorso, una macchia o un semplice contrattempo legato al tuo carattere?
“La vile aggressione di Pellegrino è la macchia della mia vita. Ero in crisi con mia moglie, ero nervoso. All’andata contro il Frosinone, nel derby, avevo sbagliato un rigore. Al ritorno vincemmo in casa loro con più di mille nostri tifosi al seguito. Al fischio finale Pellegrino rincorse il mio compagno Pesce che era un ragazzino. Io ho sbroccato, sono partito come un pazzo e l’ho aggredito con un colpo di karate alla schiena. Scoppiò il finimondo. A mente fredda andai in crisi, chiamai Pellegrino per scusarmi ma in cuor mio rimane il rimpianto per un atto non da me. Mi chiusi in casa per qualche giorno, anche se a Latina diventai ancora più idolo perché caricare il ciociaro per loro è il massimo. Però fu una brutta cosa”.
Di te si è sempre detto e scritto che eri un generoso. Ti riconoscevi in questo aggettivo o a un certo punto lo hai trovato anche limitante e riduttivo?
“Io correvo, ma alla corsa univo il coraggio, il gioco maschio e i gol in momenti delicati. Per me è un complimento e non riduce nulla. Io sono generoso anche nella vita, anzi dovrei farmi un po’ di più gli affari miei”.
Domanda classica: quanto è cambiato il tuo calcio da quello di oggi? E' migliorato o peggiorato secondo te?
“E’ sempre bellissimo e poi non sono mica passati cent’anni…Il calcio rimane quello della rovesciata di Menchino, da un momento all’altro può cambiare tutto. Vanno rispettati di più i tifosi e soprattutto bisogna sacrificarsi e sudare per dare a loro un pomeriggio di gioia”.
E' stato difficile appendere le scarpe al chiodo? E come è nata la passione per il ruolo di allenatore?
“Diplomato Isef, amante dello sport, non puoi non pensare che fare l’allenatore. Smettere di giocare è come per uno che suona il violino e gli tagli una mano. E’ tremendo ma come diceva Cozzamara nel film Johnny Stecchino: “il tempo sì che è un assassino”. Bisogna anche riciclarsi e ripartire da zero, io non ho guadagnato miliardi e ora spero in una nuova carriera. L’anno scorso al Savona ho perso il titolo nazionale juniores contro il Sansepolcro, adesso sono in prima categoria, rifaccio la gavetta come da giocatore tanto non ti regala niente nessuno”.
Quali sono i tuoi modelli di riferimento?
“Cosmi, Colantuono, i miei primi mister Tanganelli e Bodi, che da ragazzo mi hanno fatto capire certe cose e ho preso la via giusta”.
Come ti saresti comportato con un giocatore come Bobo? Come l'avresti gestito?
“Briglie sciolte, uno come me capisce le cose da solo. Io vorrei undici Pilleddu perché gestire chi in campo morirebbe per la maglia è facile. Difficile è gestire i falsi e i servi”.
Bobo a 30 anni, Bobo a 40 anni. Quanto sei diverso?
“Sono sempre lo stesso imbecille, nel senso buono. Sono cambiato poco anche se avere tre figli, una ex moglie, una nuova meravigliosa compagna napoletana e allegra, aver smesso di giocare un po’ ti fa evolvere. Ecco, utilizzerei questo termine più che cambiare: cambia chi non ha personalità. Inoltre non dimostro i miei anni e questo mi aiuta a invecchiare bene”.
La famiglia, il calcio e tutto il resto: cosa c'è nel tuo futuro?
“A un certo punto la mia vita è implosa. Quando ero a Latina nel giro di un anno e mezzo mi è successo di tutto. Ho perso i miei genitori, il mio migliore amico, mi sono separato, mi sono rotto il ginocchio destro. Un casino. Per fortuna ho incontrato a Napoli la mia nuova compagna, Emma, che mi ha dato la voglia e la forza di ritornare a combattere. Nel mio futuro spero ci sia l’amore dei miei figli, l’amore di Emma e l’odore dell’erba dei campi da calcio. Sarebbe meraviglioso arrivare ad allenare l’Arezzo, lavorerò per realizzare questo sogno”.

scritto da: Andrea Avato, 25/01/2010
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