SERIE D GIRONE E - 1a giornata
Flaminia | 4 set | 15 | Livorno |
Gavorrano | 4 set | 15 | Tau Altopascio |
Ghiviborgo | 4 set | 15 | Ponsacco |
Orvietana | 4 set | 15 | Arezzo |
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Seravezza | 4 set | 15 | Città di Castello |
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Il San Giorgio e il Drago di Giovanni Stradano
Il San Giorgio e il drago di Giovanni Stradano (vero nome Jan Van der Straet) è un olio su tavola facente parte dell’altare della famiglia Vasari, in origine nella Pieve di Santa Maria Assunta e nel XIX secolo trasferito nella chiesa della Badia delle Sante Flora e Lucilla.
TweetIl San Giorgio e il drago di Giovanni Stradano (vero nome Jan Van der Straet) è un olio su tavola facente parte dell’altare della famiglia Vasari, in origine nella Pieve di Santa Maria Assunta e nel XIX secolo trasferito nella chiesa della Badia delle Sante Flora e Lucilla.
I dipinti che lo arricchiscono su tutti i lati vennero eseguiti – a eccezione della Vocazione dei Santi Pietro e Andrea del 1551 – tra il 1563 e il 1564 dallo stesso Vasari, avvalendosi principalmente della collaborazione del pittore fiammingo.
L’opera dello Stradano si rifà alla Legenda Aurea di Jacopo da Varagine: ai tempi dell’impero di Diocleziano (284-305 d.C.) fuori dalla città libica di Selem c’era uno stagno dove si nascondeva un drago che uccideva con il fiato fetido tutte le persone che incontrava. Per placarlo, gli abitanti gli offrivano due pecore al giorno, ma quando queste scarseggiarono furono costretti a offrirgli una pecora e un giovane tirato a sorte. Un giorno fu estratta la principessa Silene. Il re offrì il suo patrimonio e metà del regno pur di salvare la figlia, ma la popolazione si ribellò e il sovrano dovette cedere. La giovane si avviò così verso lo stagno per offrirsi alla bestia. In quel momento passò di lì il cavaliere Giorgio, il quale promise di salvarla, e quando il drago uscì dalle acque lo trafisse con la lancia senza ucciderlo. Quindi suggerì a Silene di avvolgere la sua cintura al collo della bestia, che prese a seguirla all’interno delle mura cittadine. Giorgio disse agli abitanti terrorizzati di non avere timore, perché se si fossero battezzati lui avrebbe ucciso il mostro. E così fu.
Il dipinto cinquecentesco ha una complessa iconografia. Tra i temi centrali c’è la peste. Si riteneva, infatti, che il veicolo di contagio della malattia infettiva fosse l’odore dei cadaveri. Nutrendosi di essi, il drago con il suo alito diventava a sua volta contagiante. La bestia è quindi una vera e propria prosopopea del morbo e San Giorgio, conficcandogli la lancia nella bocca, arresta lo sbuffo di fiato ammalante che esce dalle sue fauci.
Il drago rappresenta il male. La fisionomia del mostro è ricca di particolari curiosi, un mix di elementi di altri animali (orecchie d’asino, fauci da serpente) e fantastici (naso arricciato, vertebre spinose, lunghi ciuffi di pelo sul dorso). Nel collo e nella pagina superiore delle ali si scorgono delle maculature, simbolo della peste, ma più in generale connesse ai concetti di puro e impuro, così come le striature della coda, che ribadiscono la natura maligna e immorale della bestia.
Alla negatività del drago fa da contraltare la principessa, vittima sacrificale. La fanciulla è vestita di bianco, la purezza, e di rosa vivo, che rientra nella gamma del rosso, colore usato dalle spose nell’antica Roma. Il matrimonio tra il bene e il male che sta per consumarsi viene però interrotto dall’intervento di San Giorgio, che vediamo avvolto dalla cintura nuziale presa in prestito dalla ragazza, con la quale legherà il drago per trascinarlo dentro le mura di Selem.
Il cadavere sotto il cavallo è la figura più misteriosa dell’intera scena. Gran parte del corpo è spolpato, tuttavia gli organi interni sono ancora freschi al loro posto, mentre testa, mani, piedi e pene risultano intatti ma anneriti, come se fossero “corificati” (la corificazione è un fenomeno dovuto a una temperatura idonea, che permette alle salme di conservarsi per l’arresto dei processi degenerativi dei tessuti. In pratica la pelle diventa come il cuoio). Riguardo agli organi integri, nel primo quadrante della cavità addominale, si nota una parte deformata dello stomaco, come se ci fosse la presenza di un tumore. Lo stato della salma non può che risultare da un’autopsia su un corpo, che l’artista avrà visto in diretta e poi riportato nel dipinto.
Il San Giorgio della chiesa della Badia è stato restaurato dal Consorzio R.I.C.E.R:C.A., grazie al contributo della fondazione inglese The Yellow Car Charitable Trust.
Per la lettura iconografica si ringrazia Mauro Di Vito, storico dell’arte e della scienza, docente di Storia dell’arte alla SACI - Studio Art Centers International di Firenze e all’Università di Genova.

scritto da: Marco Botti, 04/11/2011
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