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SERIE D GIRONE E - 1a giornata

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Poggibonsi4 set15Grosseto
Sangiovannese4 set15Ostiamare
Seravezza4 set15Città di Castello
Trestina4 set15Pianese
Terranuova4 set15Montespaccato
MONDO AMARANTO
saluti da Parigi da parte di Carlo
NEWS

Il cranio dell'Olmo

Il 16 giugno 1863 avvenne un ritrovamento epocale per comprendere l’evoluzione della razza umana nel territorio aretino e più generale nel suolo italico: tornarono alla luce i resti del cosiddetto Homo dell’Olmo.



i resti del cosiddetto Homo dell'OlmoIl 16 giugno 1863 avvenne un ritrovamento epocale per comprendere l’evoluzione della razza umana nel territorio aretino e più generale nel suolo italico: tornarono alla luce i resti del cosiddetto Homo dell’Olmo.

In quel periodo si stava lavorando per realizzare la breve galleria lungo la tratta ferroviaria Roma-Firenze, che avrebbe portato per la prima volta il treno ad Arezzo.

A una quindicina di metri di profondità, nella parte scavata a trincea, fu rinvenuta una scatola cranica.

Il geologo Igino Cocchi, membro della Società Italiana di Antropologia, fu il primo a studiare il cranio, collegandolo a un individuo che avrebbe vissuto sulle sponde dello smisurato lago che occupava la Valdichiana nel Pleistocene Superiore (epoca che va da 120.000 a 10.000 anni fa).

L’archeologo Gian Francesco Gamurrini non fu dello stesso avviso, supponendo inizialmente che la calotta poteva appartenere a una delle tante tombe romane presenti lungo la Cassia Vetus (o Clodia).

Del cranio, trasferito a Firenze dove ancora oggi si conserva nel Museo di Preistoria, si occuparono tutti i maggiori luminari.

Negli ultimi decenni dell’Ottocento, gli antropologi Armand de Quatrefages e Giuseppe Sergi ritennero che l’Homo dell’Olmo era un Neandhertal.

Negli anni Venti del nuovo secolo gli studi si accentuarono e tramite indagini sempre più precise e scientifiche si arrivò al 1950, quando Kenneth Oakley del Museo di Storia Naturale di Londra confermò la contemporaneità della testa ai resti di altri animali rinvenuti nello stesso strato geologico, databili a circa 50.000 anni fa.

Lo stesso studioso inglese, con il sistema della fluorimetria, determinò che si trattava di un individuo di sesso femminile vissuto nel periodo detto del Wurm Antico, quello dell’ultima glaciazione.

Sebbene contemporaneo dell’Uomo di Neandhertal, questa creatura era diversa: un pre-Sapiens ormai vicinissimo all’Homo Sapiens Sapiens.

Per approfondire: Arezzo nell’antichità (a cura di Giovannangelo Camporeale e Giulio Firpo, Giorgio Bretschneider Editore 2009)



scritto da: Marco Botti, 18/04/2008