SERIE D GIRONE E - 1a giornata
Flaminia | 4 set | 15 | Livorno |
Gavorrano | 4 set | 15 | Tau Altopascio |
Ghiviborgo | 4 set | 15 | Ponsacco |
Orvietana | 4 set | 15 | Arezzo |
Poggibonsi | 4 set | 15 | Grosseto |
Sangiovannese | 4 set | 15 | Ostiamare |
Seravezza | 4 set | 15 | Città di Castello |
Trestina | 4 set | 15 | Pianese |
Terranuova | 4 set | 15 | Montespaccato |
Il Museo dell'Oro
Nel 1986 la Uno A Erre, la più importante industria orafa aretina (e del mondo), celebrò i suoi primi 60 anni di attività con una mostra nel sottosagrato di San Francesco. Di fronte a un patrimonio unico nel suo genere, il grande critico d’arte Enrico Crispolti suggerì la creazione di un museo aziendale permanente per i pezzi più significativi. Fu così che, attingendo alle collezioni dei proprietari e recuperando oggetti preziosi presso i clienti storici, nel marzo 1998 fu inaugurato il primo museo italiano di oreficeria all’interno degli stabilimenti di via Fiorentina. 
TweetNel 1986 la Uno A Erre, la più importante industria orafa aretina (e del mondo), celebrò i suoi primi 60 anni di attività con una mostra nel sottosagrato di San Francesco.
Di fronte a un patrimonio unico nel suo genere, il grande critico d’arte Enrico Crispolti suggerì la creazione di un museo aziendale permanente per i pezzi più significativi. Fu così che, attingendo alle collezioni dei proprietari e recuperando oggetti preziosi presso i clienti storici, nel marzo 1998 fu inaugurato il primo museo italiano di oreficeria all’interno degli stabilimenti di via Fiorentina.
Sotto la direzione di Giuliano Centrodi, i gioielli furono esposti secondo un criterio cronologico, abbinando pezzi d’autore a prodotti di massa che hanno contrassegnato il successo dell’azienda.
Gli anni Venti iniziano con l’oreficeria legata alla tradizione chianina e con lo stile internazionale detto “a ghirlanda”, ultimo vagito della Belle Epoque, per giungere alle geometrie dell’Art Déco sbocciate alla fine del decennio.
Gli anni Trenta e quelli del periodo bellico sono invece contraddistinti dai gioielli autarchici in argento, rame, platinite e vetri colorati.
Nel Dopoguerra l’oro torna in circolazione e per qualche anno il conflitto mondiale continua a riecheggiare nelle forme degli oggetti di massa, come ci dimostrano i bracciali “tank”, che riprendono il cingolato dei carri armati o i pendenti “a mina”.
Con gli anni Cinquanta la nostra penisola si risolleva e inizia un periodo di benessere economico. A Firenze nasce l’Italian style che dominerà la moda negli anni a venire, ma le maison parigine saranno sempre quelle che faranno tendenza nel settore dei gioielli. Non a caso i soci fondatori, Leopoldo Gori e Carlo Zucchi, si recheranno spesso Oltralpe riportando a casa dei bozzetti di anonimi dai quali trarre ispirazione. Oggi sono visibili all’interno del museo.
Si segnala in questo periodo la collaborazione con la Walt Disney per la realizzazione di spille tratte dai personaggi dei cartoon.
Nel 1960 nasce la mitica Medaglia dell’amore con la celebre frase "+ di ieri - di domani", di cui sono stati venduti 15 milioni di pezzi. I primi anni Sessanta si caratterizzano anche per il ritorno all’oro bianco e per il recupero dell’antica tecnica degli smalti traslucidi. Si afferma definitivamente la microfusione, arrivata dagli Usa nel ’57, che segna una rivoluzione nell’arte orafa: il gioiello non sarà più solamente a bassorilievo ma anche a tuttotondo.
Da questo momento pittori e scultori comprendono la possibilità di smarginare nell’oreficeria con eccellenti risultati, influenzando tutta la produzione degli anni Settanta, qualificata dalla sperimentazione e da creazioni raffinate.
Negli anni Ottanta aumentano le collaborazioni prestigiose, anche con stilisti italiani, francesi e americani, e nel 1989 si collauda con successo la “granulazione”, tecnica tipica degli Etruschi.
L’ultima decade del Millennio è segnata dall’esperienza del grande Giò Pomodoro, che nel 1995 è invitato a tenere lezioni di progettazione e realizzazione, durante le quali vengono alla luce dei capolavori unici.
L’attuale decennio è infine rappresentato dalla collaborazione con Fiorucci.
Ma nel Museo dell’Oro il visitatore non trova solo strabilianti gioielli. Sono ammirabili infatti i macchinari e gli utensili che hanno fatto la fortuna della Uno A Erre, ci sono i disegni, i progetti e i bozzetti firmati da grandi artisti che hanno collaborato con l’azienda.
La sezione dedicata alle medaglie testimonia un’altra importante vocazione. I migliori medaglisti, incisori e scultori del secondo Novecento, tra cui Cascella, Bini, Dalì, Fiume, Manzù, Messina, Moschi, Pomodoro e Venturi, hanno tutti lasciato una loro impronta.
Da non dimenticare la Spada di Saddam Hussein, commissionata in 150 esemplari per insignire tutti gli sceicchi che avevano aiutato il dittatore durante la guerra contro l’Iran. Quello in mostra è il prototipo in argento, mentre gli originali erano in oro e platino. Ogni arma aveva l’impugnatura ricca di gemme preziose che variavano in base alla dignità del destinatario.
Nel 2010 la Uno A Erre si è trasferita nei nuovi stabilimenti di San Zeno, ma il museo è rimasto nella vecchia sede. Si è ipotizzato di collocarlo nel centro storico ampliandolo con altre collezioni, una scelta che sarebbe felicissima e lo inserirebbe finalmente negli itinerari culturali e turistici cittadini, rafforzando il binomio Arezzo & Oro, indissolubile da venticinque secoli ma in questi ultimi anni un pò appannato.

scritto da: Marco Botti, 18/07/2008
Tweet