SERIE D GIRONE E - 1a giornata
Flaminia | 4 set | 15 | Livorno |
Gavorrano | 4 set | 15 | Tau Altopascio |
Ghiviborgo | 4 set | 15 | Ponsacco |
Orvietana | 4 set | 15 | Arezzo |
Poggibonsi | 4 set | 15 | Grosseto |
Sangiovannese | 4 set | 15 | Ostiamare |
Seravezza | 4 set | 15 | Città di Castello |
Trestina | 4 set | 15 | Pianese |
Terranuova | 4 set | 15 | Montespaccato |
La Tina dell'Homo Salvatico
Nelle tradizioni di tutto il mondo esiste la figura dell’uomo dall’aspetto bestiale che vive solitario nelle foreste. Gli esempi più noti sono lo Yeti asiatico e il Bigfoot (o Sasquatch) americano. L’Italia non si sottrae a questa leggenda popolare, già presente nei bestiari medievali, e soprattutto nei territori alpini e appenninici sopravvive ancora il mito dell’Uomo Selvatico.
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Cercando di fare una summa delle varie storie che narrano di questo personaggio silvestre, differenti da regione a regione, scopriamo che per tutti era irsuto, sporco, con capelli e barba che arrivavano fino alla gambe. Celebre è l’immagine quattrocentesca in un edificio di Sacco, in provincia di Sondrio.
L’Uomo Selvatico aveva scelto di vivere isolato nel bosco, dove si esaltavano le caratteristiche che gli garantivano la sopravvivenza: la forza, il fiuto e l’istinto animale. Spesso era descritto come scontroso, aggressivo e cattivo, ma da alcune parti era raffigurato come personaggio schivo ma sensibile, che voleva fraternizzare con gli uomini, dai quali veniva deriso e cacciato per l’aspetto.
Si dice che conoscesse tutti i segreti dell’agricoltura, della pastorizia e delle erbe medicinali. Era un maestro nella produzione dei formaggi e di tanto in tanto scendeva nei villaggi, anche sotto false spoglie, per svelare i segreti della produzione casearia.
Nella tradizione aretina il cosiddetto “Homo Salvatico” era un personaggio che, alla veneranda età di mille anni, viveva nel Settecento nei dintorni di Monterchi. Era chiamato anche Agnolaccio e si era rifugiato nella macchia perché accusato d’aver rubato capi di bestiame. A uccidere il selvaggio, odiato da contadini e allevatori, fu il cacciatore Marco Pancioni, che ricevette in dono da un frate una moneta d’oro benedetta da fondere per farne una pallottola.
Le tracce leggendarie dell’Homo Salvatico sono visibili in Valtiberina ancora oggi. Per raggiungere quello che è considerato il suo rifugio bisogna costeggiare il fiume Padonchia, affluente del Cerfone, fino alla località Mulinino, e proseguire a piedi nel bosco di castagni della Murcia. A un paio di chilometri di distanza, a Poggio della Madonna, si trova invece la “Tina”, una grossa vasca di pietra dove la fiabesca figura appoggiava gli animali di cui si cibava per sgozzarli.
Ai nostri occhi la Tina appare come un grande monolite scavato, dove si nota un foro che il folklore indica come lo scolo per il sangue delle bestie uccise. All'interno della vasca sono osservabili impronte e piccole macchie, che invece sarebbero chiazze ematiche ormai assorbite dalla pietra. Andando oltre il mito, alcuni studiosi interpretano la pietra come uno strumento per riti ancestrali riguardanti la vita e la morte. A questo proposito bisogna ricordare che la zona di Monterchi è ricca di monoliti che presentano simboli atavici, la Tina dell’Homo Salvatico potrebbe quindi inserirsi in un contesto sacrale ancora da decifrare.
Per approfondire: L’Homo Salvatico (Rita Bruni, Tipografia Lupetto, 1995)

scritto da: Marco Botti, 30/09/2011
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