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SERIE D GIRONE E - 1a giornata

RISULTATI CLASSIFICA PROSSIMO TURNO
Flaminia4 set15Livorno
Gavorrano4 set15Tau Altopascio
Ghiviborgo4 set15Ponsacco
Orvietana4 set15Arezzo
Poggibonsi4 set15Grosseto
Sangiovannese4 set15Ostiamare
Seravezza4 set15Città di Castello
Trestina4 set15Pianese
Terranuova4 set15Montespaccato
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Alessandro e Riccardo a Parigi
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La basilica di San Domenico

Tra gli scrigni ricchi di gioielli artistici che Arezzo annovera, la basilica di San Domenico occupa senza ombra di dubbio un posto di preminenza. Collocata alle pendici del colle di San Pietro, vi si accede comodamente dal parcheggio di via Pietri, attraversando la cinta muraria medicea all’altezza della postierla di Pozzolo e percorrendo la breve scalinata che conduce nella graziosa piazza antistante l’edificio religioso.



La basilica fu la palestra della scuola pittorica aretina del TrecentoTra gli scrigni ricchi di gioielli artistici che Arezzo annovera, la basilica di San Domenico occupa senza ombra di dubbio un posto di preminenza. Collocata alle pendici del colle di San Pietro, vi si accede comodamente dal parcheggio di via Pietri, attraversando la cinta muraria medicea all’altezza della postierla di Pozzolo e percorrendo la breve scalinata che conduce nella graziosa piazza antistante l’edificio religioso.

Negli anni Venti del XIV secolo i frati erano già in città per diffondere i dettami di San Domenico, morto nel 1221. Intorno al 1240 si stanziarono in maniera definitiva ad Arezzo, costruendo un convento con annesso un piccolo oratorio, forse situato dove oggi è la sacrestia. I domenicani portarono una grande ventata di cultura, dando nuova linfa allo studium aretino e patrocinando, nel 1262, l’istituzione della Fraternita dei Laici. Nei primi anni Settanta si iniziò a costruire una chiesa più ampia, che venne completata agli inizi del Trecento. Alla sua realizzazione contribuirono attivamente due tra le più importanti famiglie nobili aretine, gli Ubertini e i Tarlati.

L’edificio gotico, che presenta alcune analogie stilistiche con la chiesa fiorentina di Santa Maria Novella, è nel tipico codice “mendicante” del periodo. La facciata esterna, che appare incompiuta, si caratterizza per la sua asimettricità e per il delicato campanile a vela. La navata è unica, armoniosa, con il tetto a capriate. Le sei monofore per lato sono delineate dal caratteristico motivo bianconero dei domenicani, così come le tre cappelle in cui è divisa l’abside.

La facciata è asimettricaLe pareti interne, malridotte dal tempo e dall’incuria dell’uomo, sono state per tutto il Trecento e per il primo Quattrocento la principale “palestra” per la scuola pittorica locale, sospesa tra i linguaggi senese e fiorentino e alla ricerca di una propria identità.

A partire dal secondo Cinquecento la chiesa fu oggetto di pesanti rimaneggiamenti, che portarono alla collocazione di nuovi altari e all’imbiancatura dei tanti affreschi che impreziosivano i muri. Le soppressioni degli ordini religiosi portata avanti dai Lorena dal 1782 portò all’allontanamento dei
domenicani dalla città. Questo implicò anche il decadimento dell’edificio, che si riprese solo con il ritorno dei frati nei primi decenni del Novecento. Nello stesso periodo cominciò il suo recupero che ben presto si trasformò in ripristino stilistico, con la rimozione degli altari cinque-seicenteschi e la
riscoperta delle pitture tre-quattrocentesche.

I lavori si protrassero fino 1924 e al portale fu in seguito addossato un protiro (sorta di piccolo portico) progettato nel 1936 da Giuseppe Castellucci, a protezione della lunetta affrescata agli inizi del Cinquecento da Angelo di Lorentino, raffigurante la Madonna con il Bambino tra San Domenico e San Donato. Nel 1960 la chiesa venne dichiarata basilica.
Alla fine del 2008 sono iniziati gli interventi di restauro e consolidamento del tetto e delle capriate fortemente deteriorate.

L’interno è maestoso e solenne. Entrando a destra si ammira subito, sul lato di fondo, uno splendido affresco di Parri di Spinello di primo Quattrocento con il Crocifisso tra la Madonna, San Nicola, San Giovanni e San Domenico. La lunetta in alto riporta alcune Storie di San Nicola.

Sulla parete di destra si osservano una serie di pitture frammentarie, come una Adorazione dei Magi e una Deposizione, mentre in una nicchia si apprezza una Madonna con il Bambino in terracotta policroma risalente al XVII secolo. Proseguendo il percorso si incontra lo sfolgorante Altare Dragomanni in pietra scura, scolpito dal fiorentino Giovanni di Francesco Fetti intorno al
1360. Al centro dell’edicola un affresco raffigura la Disputa tra Gesù e i dottori nel tempio, pregevole opera di Donato e Gregorio d’Arezzo, la cui bottega fu di primaria importanza per la crescita dell'arte locale nei primi decenni del Trecento. I due furono molto attivi anche nell’Alto Lazio, dove negli anni Venti del XIV secolo lavorano in maniera proficua. Le loro opere sono ancora ammirabili a Tuscania, Viterbo e Bracciano. Oggi sull’altare è collocata una statuetta di San Tommaso d’Aquino, patrono degli studenti.

Continuando oltre il confessionale, si scorge ciò che rimane della Predica del Beato Ambrogio Sansedoni, una delle due opere che lo storico dell'arte Pierluigi Leone De Castris ha individuato come uniche testimonianze superstiti in terra aretina di Montano d’Arezzo, figura basilare per lo sviluppo dell’arte in Campania tra Duecento e Trecento, allorché si recò alla corte angioina esportando le innovazioni tosco-umbre che scaturivano prepotentemente dalla cosiddetta “fabbrica di Assisi”.

A seguire la pregevole terracotta invetriata con San Pietro Martire (1515-1520) di Giovanni e Girolamo della Robbia, caratterizzata dal forte realismo nella scena del martirio del santo veronese nella predella. Un affresco di scuola spinelliana con Santa Caterina d’Alessandria, San Lorenzo e Santa Barbara (quest’ultima ormai cancellata) anticipa quattro eleganti Angeli musicanti, strabiliante particolare di un’opera di Parri di Spinello andata distrutta nel Settecento per incassare nella parete un monumento funebre. La pittura successiva, purtroppo deteriorata, rappresenta Cristo Giudice e la Madonna del Popolo. È considerata uno dei capolavori del Maestro del Vescovado, personaggio di spicco della scuola aretina della prima metà del XIV secolo.

Il lato destro si conclude con la prima delle due cappelle secondarie dell’abside, dove è stata collocata una statua in pietra raffigurante la Madonna con il Bambino, una delle tante che ornavano dal 1339 le dieci porte della cinta tarlatesca. Questa era ubicata sopra Porta San Biagio.

A sinistra della scultura si ammira la dolcissima Annunciazione di Spinello Aretino, databile al 1386, mentre a destra la splendida Crocifissione tra la Madonna, San Giovanni e due cavalieri è attribuita al cosiddetto Maestro delle Sante Flora e Lucilla, altro artista primario del Trecento aretino.

Il Crocifisso di Cimabue, capolavoro inarrivabile del XIII secoloL’altare maggiore è dominato dal Crocifisso ligneo di Cenni di Pepo detto Cimabue, maestro di Giotto. L’opera, collocabile tra il 1265 e il 1268, risulta essere il capolavoro giovanile di colui che Giorgio Vasari indicò come il primo grande innovatore della pittura occidentale. La straordinaria esecuzione, una delle perle per cui Arezzo è universalmente nota, è stata oggetto di un restauro durato quattro anni, finanziato da Banca Etruria, conclusosi con la ricollocazione sopra l’altare nel novembre 2002.

A sinistra del crocifisso si trova un gioiello scultoreo di inizio Trecento, il sepolcro funebre pensile di Ranieri Ubertini, vescovo di Volterra. Il monumento è dato al senese Gano di Fazio e inquadra una Madonna con il Bambino.

La cappella di sinistra è impreziosita dal trittico del Maestro del Vescovado con San Michele Arcangelo tra i santi Domenico e Paolo. Alla sua sinistra una Madonna con il Bambino dei primi anni del XVI secolo, attribuita ad Angelo di Lorentino, ricorda l’assoluta influenza di Piero della Francesca sull’arte locale tra secondo Quattrocento e primo Cinquecento.

Scorrendo la parete verso l’uscita, troviamo il bel portale duecentesco della sacrestia, alcuni Angeli musicanti del XVII secolo aggiudicati a Bernardino Santini e, in sequenza, tre opere di primo Quattrocento assegnate a Giovanni d’Agnolo di Balduccio, allievo di Spinello. Sono il Crocifisso tra San Giovanni e San Michele, l’Annunciazione e la Madonna con il Bambino tra San Clemente e San
Lorenzo.

Sopra il primo dei tre affreschi si apprezza l’altra opera di Montano d’Arezzo in San Domenico, sempre secondo il De Castris. Raffigurava i Santi Pietro, Paolo e Domenico con i rispettivi nomi, sormontati da sottili arcate. San Domenico, titolare della chiesa, è completamente scomparso.

Il lato sinistro termina con il raffinato Matrimonio mistico di Santa Caterina di Parri, le Storie di San Cristoforo di scuola spinelliana, il San Vincenzo Ferreri di Lazzaro Vasari, bisnonno di Giorgio, e altre pitture deteriorate.

Nella parete interna della facciata, infine, conclude questo denso itinerario artistico un capolavoro di Spinello Aretino di fine Trecento con le Storie dei santi Filippo e Giacomo sormontate da una lunetta con il Matrimonio mistico di Santa Caterina e il suo Martirio.

La basilica di San Domenico è la chiesa ufficiale del Quartiere di Porta del Foro e dalla sua piazza ha inizio il suggestivo corteo che precede la Giostra del Saracino.

scritto da: Marco Botti, 20/11/2009