Il pentitismo, gli zingari, i 6 punti del Grosseto e quelli dell'Arezzo

Confessioni in cambio di sconti della pena: così nei processi sportivi è tutto un fiorire di gente che si toglie pesi dalla coscienza, chiamando in causa pesci piccoli e grossi che diventano colpevoli fino a prova contraria. E mentre Palazzi si beve tutte le confessioni di gente che punta più che altro a evitare le radiazioni, ci sono tesserati costretti a patteggiare per non incorrere in guai peggiori. Poi si scopre che la penalizzazione del club di Camilli, con 4 illeciti e 4 omissioni di denuncia contestati, è identica a quella amaranto del 2006, derubricata al nulla assoluto al processo penale di Napoli. Ma a che gioco giochiamo?

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Ormai non ci sono più pentiti nel mondo del calcio, c’è piuttosto il pentitismo visto che liberarsi la coscienza è un’abitudine sempre più consolidata. Siccome dalla Procura federale caldeggiano le confessioni in cambio di sconti di pena, è tutto un fiorire di gente che si batte il petto e svela dettagli loschi. Il redento più famoso è ovviamente Pippo Carobbio, che ha tirato di mezzo Antonio Conte. Carobbio fu sul punto di venire ad Arezzo due volte, una all’epoca di Gustinetti, che lo ha allenato per varie stagioni, e un’altra l’anno successivo, ma Sarri non lo volle perché era troppo lento. Curioso che proprio Sarri, come Conte, sia finito nel tritacarne dei processi per colpa di un altro pentito, Kewullay Conteh. Chi conosce il giocatore della Sierra Leone, dice che come difensore non è granché e che il suo italiano è anche peggio, ma evidentemente Palazzi ha dei buoni traduttori a dargli man forte. Tra i collaboratori di giustizia (sportiva) figura pure Carlo Gervasoni, quello che quando giocava a Piacenza cagionò appositamente il rigore in favore dell’Atalanta, che poi Doni trasformò con un tiro centrale come da accordi precedentemente presi col portiere Cassano (questa la versione emersa dalle carte). Gervasoni ha mandato a processo il suo ex compagno di squadra Locatelli, che di fronte alla possibilità (diciamo certezza) di una stangata epocale ha preferito patteggiare. Risultato: due anni di squalifica a Locatelli, un anno e 8 mesi a Gervasoni. Per la serie: garantiamo l’equità. Il fatto è che Palazzi il ruolo del purificatore l’ha sempre interpretato alla grande. Basta pensare al 2006 e a cosa imbastì contro l’Arezzo, unico club mazzolato per un illecito presunto che ancora grida vendetta, anche perché di tesserati o personaggi riconducibili alla società non ce n’era manco mezzo. Il teorema di oggi del procuratore è noto: tu imputato, se parli e mi riveli nomi e circostanze, diventi un teste credibile e te la cavi con una condanna più mite. In automatico, chi smentisce il pentito è un reo non confesso. E siccome è lui che deve dimostrare di essere innocente, giù legnate. Di fronte a tale scenario, è logico che di confessioni ne venga registrata una al giorno. L’ultima, dopo quella di Joelson, è di Turati, ex Grosseto: “Il presidente Camilli comprò la partita con la Salernitana”. E poi la chiosa strappa lacrime: “Sono molto pentito di quello che è accaduto e vorrei continuare a giocare lealmente perché per me l’impegno professionale è tutto”. Una cantilena a cui non crederebbe nemmeno un bambino, il cui unico fine è quello di evitare la radiazione.

 

Ma Palazzi e i suoi se le bevono tutte, anche perché la presunzione di colpevolezza consente loro di fare fuoco a colpo sicuro. One shot, one kill e vai di repulisti. Il problema è che sparare nel mucchio è facile ma non proprio etico, ammesso che di etico in tutta la vicenda ci sia ancora qualcosa. Fatto sta che siamo arrivati a un punto in cui i pentiti parlano, tirano dentro qualche pesce (piccolo e grosso) e si guadagnano il rientro anticipato nel calcio. Dall’altra parte c’è l’esercito di quelli che vengono tirati in ballo, magari tutti colpevoli o forse, in alcuni casi, vittime della disperazione di chi ha accroccato le partite, ha preso i soldi dallo zingaro e ha puntato un ventimila sull’over, passando all’incasso. Discernere tra chi è stato correo o colluso e chi ha avuto l’unica colpa di condividere lo spogliatoio con un lestofante, è impossibile per noi che guardiamo da fuori. Sarebbe possibile per i tribunali sportivi, ai quali però non viene chiesto di fare i processi per bene ma di farli in fretta, perché a luglio si rigioca. E allora, oggi come nel 2006, sta venendo fuori un gran casino. Gente che andrebbe radiata ottiene lo sconto perché si mette in ginocchio sui ceci. Tesserati che vengono ricattati dalla procura (“o parli o ti faccio le bucce”) patteggiano perché è meglio aver paura che buscarne. E prendono squalifiche peggiori di quelli che andrebbero radiati. Personaggi che non hanno nulla da nascondere finiscono alla gogna senza tema di smentita. Un bailamme totale, in cui la Sampdoria deve assurdamente rispondere di responsabilità oggettiva per aver tesserato Bertani, sospettato d’illeciti quando giocava a Novara. Perfino Abete ha dovuto smettere il vestito da Ponzio Pilato, minacciando di impugnare qualche patteggiamento di Palazzi perché giudicato troppo morbido. La ciliegina sulla torta, per chi ha ancora in mente Ttitomanlio e Meani, riguarda il Grosseto: con quattro illeciti contestati e quattro omesse denunce, ha patteggiato 40mila euro d’ammenda e 6 punti di penalizzazione. Come l’Arezzo nel 2006, che di illecito (presunto) ne aveva uno, derubricato al nulla totale al processo penale di Napoli. Ma a che gioco giochiamo?

 

scritto da: Andrea Avato, 07/06/2012

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