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Lettera di Manzo: ''Errori in buonafede, disavanzo ripianato. Io credo ancora nell'Arezzo''

Il presidente ha scritto alle redazioni dopo la pesante contestazione di oggi: ''il mio nome e quello della mia famiglia è stato umiliato, deriso, offeso e infamato. Ma quando rilevammo la società, abbiamo evitato che venissero pignorati anche i palloni. Eravamo a digiuno di calcio e abbiamo sbagliato, qualche avvoltoio se n'è anche approfittato. Però ho scommesso sull'Arezzo e continuo a pensare che sia il cavallo giusto''



Dopo la pesante contestazione di oggi, con centinaia di volantini con la scritta ''liberate l'Arezzo'' e molti striscioni appesi fuori dallo stadio, il presidente Guglielmo Manzo ha inviato una lettera a tutte le redazioni per spiegare il proprio punto di vista e provare a placare gli animi. Ecco il testo.

 

''Sono Guglielmo Manzo e credo di non aver bisogno di ulteriori presentazioni. Non per vanagloria ma perchè il mio nome e quello della mia famiglia nell’ultimo anno e mezzo è stato umiliato, deriso, offeso e infamato in tutti i modi possibili, sacrificato su un altare di cui non riesco più a riconoscere gli idoli. Di me e di chi mi sta vicino, per scelta o per amore, è stato detto di tutto: buffone, pagliaccio, ridicolo, in un climax di epiteti sempre più irripetibili, bastardo, faccendiere, criminale. Parole pesanti come macigni, tante, troppe, scritte su striscioni o urlate, hanno sempre coperto il suono delle parole che avrei voluto spesso dire io.

Ho letto in qualche articolo che dopo il fallimento e la battaglia totale del 2018 la situazione debitoria dell’Arezzo era “praticamente azzerata”. Le casse della mia società e le transazioni affrontate in questo anno e mezzo raccontano una storia diversa. Alla nostra porta si à presentata una fila di creditori dormienti (alcuni che avevano girovagato o girovagavano ancora nel microcosmo della società) da anni che vantavano, a giusto o ingiusto titolo, atavici debiti che le gestioni precedenti avevano contratto. Una processione da festa patronale, accompagnata da cartelle e ingiunzioni di pagamento che piovevano a mazzi al giorno.

Combattevamo su due fronti, da una parte costruire una squadra che fosse pronta per un campionato ormai alle porte, in un mercato che era praticamente agli sgoccioli e dall’altra evitare che ci pignorassero anche i palloni per giocare, che ci chiudessero Le Caselle, mandando in malora le prospettive del settore giovanile, per debiti che non avevamo contratto noi.

 

Oggi fa molta scena parlare di 6 milioni di debito. Si sa le cifre a sei zeri fanno scalpore, sbattono il “mostro” in prima pagina senza che nessuno si fermi a domandarsi la realtà dei fatti, senza mostrare la minima conoscenza e il discernimento necessario per leggere un bilancio. Quello che non c’è scritto nei titoloni è che la proprietà ha finanziato interamente tutto il disavanzo economico-finanziario al fine di mantenere gli equilibri e i flussi finanziari, peraltro costantemente controllati dagli organi di ispezione della FIGC, la COVISOC e la loro società di revisione e dall’organo di vigilanza interno. In un sistema di controlli così impenetrabile mi sembra abbastanza improbabile avere un disavanzo tale senza nessuna conseguenza contro di noi.

Come è andato il campionato dello scorso anno è sotto gli occhi di tutti. La ridda di direttori sportivi, allenatori, giocatori che dal nostro arrivo hanno indossato e tolto la maglia, che ci viene continuamente rinfacciata come se ci fossimo divertiti a mettere su un inumano quanto dispendioso rimpiattino calcistico. Siamo arrivati ad Arezzo digiuni di calcio e lo abbiamo sempre ammesso, ma tutto quello che abbiamo fatto non è stato un gioco, è stata la continua e frenetica ricerca di soluzioni per poter ottenere risultati migliori, per cercare di colmare lacune, per salvare il salvabile.

Ci siamo forsennatamente attaccati ad ogni flebile speranza, anche quella più improbabile, per cercare di salvarci e purtroppo nel nostro cammino abbiamo incontrato anche persone che hanno approfittato del nostro affanno. Il bisogno trova sempre avvoltoi pronti ad approfittarsene. Abbiamo pagato cara inesperienza e voglia di farcela. E non solo in termini economici, se ad oggi siamo a questo, a questa contestazione forte che sta minando ancora di più la rispettabilità della nostra società.

I vari blog ci hanno apostrofato topi in fuga dalla barca che affonda: peccato che quando le barche affondano anche i topi affogano, anche se per ultimi. E non è questo il nostro intento. Noi abbiamo voluto e vogliamo bene all'Arezzo. Gestiamo le nostre aziende come prolungamento delle nostre famiglie e anche con questa società abbiamo tenuto la stessa linea di condotta. La responsabilità di una società sportiva non è solo in campo, è verso i dipendenti che lavorano per noi, mantenere i posti di lavoro, crearne di nuovi come abbiamo fatto e faremo nei mesi a venire, creare indotto nel territorio servendoci di aziende del territorio. Che interesse potremmo mai avere a far affondare la nostra barca?

 

Ho letto di appelli all’imprenditoria aretina ad alzarsi verso di noi e fanno male, in primis considerando da chi sono partiti. Fanno male perchè da quando siamo arrivati ad Arezzo, noi i “romani burini”, l’imprenditoria aretina, tranne rare e preziose eccezioni, ci ha guardato con diffidenza e malcelato disgusto. Pochissimi ci sono rimasti accanto e non sto parlando solo di meri esborsi economici, sto parlando di fiducia, di apertura, di ascolto, di confronto. Servono i soldi certo, la SS Arezzo è un’azienda e come tale produce costi, come qualunque altra azienda, ma serve anche trovare una persona accanto che ti sappia far leggere la realtà che non conosci, che ti aiuti ad interpretarla, che ti dia una pacca sulla spalla.

Fa male pensare che il nostro staff marketing ha contattato circa mille tra aziende e realtà economiche del territorio e nel 90 per cento dei casi non ha ricevuto neanche un banalissimo “No grazie”: ci hanno catalogati come spam noioso e inopportuno e ci hanno buttati via. E a quelle persone che ora inneggiano al ‘nuovo che avanza’ vorrei chiedere perchè non hanno speso altrettante parole per aiutare noi? Perchè non ci hanno affiancati, sostenuti? La sede è sempre aperta: perchè non abbiamo visto, se non in sporadiche e ben calcolate occasioni, la presenza di chi oggi è così presente contro di noi?

Non sono abituato agli alibi, ma alle responsabilità. Ho porto le scuse alla città quando dovevo, ma non sono tipo da accampare scuse. Ma esigo rispetto per il lavoro mio e di tante persone che hanno dato il massimo in ogni occasione, ogni giorno. Non mi appello alla sfortuna o alla sorte, certo non sempre favorevole, gli errori ci sono stati. E probabilmente ci saranno, perchè non possiamo prevedere il futuro, possiamo tentare di indirizzarlo, sperando che le nostre scelte siano giuste, siano prese nel momento e nel contesto giusto. Ogni nostra scelta è una scommessa, come quella di chiunque altro. E io ho scommesso sull’Arezzo e continuerò a farlo non per masochismo ma perchè credo di aver scommesso sul “cavallo” giusto''.

 

scritto da: La redazione, 06/02/2022





Liberate l'Arezzo - La contestazione dei tifosi alla società
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