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SERIE D GIRONE E - 1a giornata

RISULTATI CLASSIFICA PROSSIMO TURNO
Flaminia4 set15Livorno
Gavorrano4 set15Tau Altopascio
Ghiviborgo4 set15Ponsacco
Orvietana4 set15Arezzo
Poggibonsi4 set15Grosseto
Sangiovannese4 set15Ostiamare
Seravezza4 set15Città di Castello
Trestina4 set15Pianese
Terranuova4 set15Montespaccato
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Stefano e Roberta, matrimonio amaranto
NEWS

La radiazione, il fallimento, la serie D. Passano gli anni e il calcio ad Arezzo non decolla mai

Sono inquietanti le similitudini tra la situazione vissuta dopo il 17 aprile 1993, giorno in cui l'Unione Sportiva venne cancellata dal torneo di C1, e quelle che si sono materializzate negli anni a venire. Stessi difetti, stessi appelli (in parte) inascoltati, stesse ambizioni frustrate, stesse dinamiche nella piazza. E come 29 anni fa siamo qui a domandarci perché, calcisticamente parlando, dagli errori non riusciamo a imparare



uno degli striscioni comparsi nel 1993, poco prima della radiazioneE' passato da poco il 17 aprile, data che da noi fa ancora sanguinare la ferita di 29 anni fa, quando l'Unione Sportiva venne radiata ed estromessa dal campionato di C1 a sette giornate dalla fine. L'Arezzo era ultimo, destinato alla retrocessione, ma la mannaia del tribunale e del Palazzo lo costrinsero a ripartire dalla D. Ci vollero cinque anni per tornare in C1, vissuti non senza sofferenze.

Spulciando negli archivi di Amaranto Magazine, è tornato fuori quest'articolo del 17 aprile 2013, scritto a vent'anni di distanza dal fallimento. Ci si stupiva, allora, di come fossero passati due decenni senza nessun tipo di cambiamento nella gestione del club e nelle dinamiche della piazza. Oggi, che di anni ne sono passati altri nove, siamo di nuovo, inquietantemente lì, né più avanti né più indietro. Ecco qualche stralcio.

 

 

Quanti sono vent’anni? Abbastanza per fermarsi un attimo e guardare indietro. Per consultare il presente e temere che il futuro non sarà troppo diverso dal passato. Ad Arezzo, calcisticamente parlando, siamo sempre uguali: appassionati soprattutto quando le cose vanno bene, presenti solo se si lotta per il vertice, brontoloni, perennemente insoddisfatti, pretenziosi. In mezzo alle tante cose buone della tradizionale ospitalità aretina, sono cresciute anche la disillusione per un calcio che da noi va a cicli alterni, un po’ su e molto più spesso giù. Che non fa moda, che difficilmente crea nuovi appassionati veri. Perché noi siamo quella piazza che non ha mai conosciuto la serie A, circondati da vicini di territorio che invece in serie A ci sono arrivati, ci sono restati e si sono pure tolti belle soddisfazioni (...) Noi no, mai. Perché questa, così dice qualcuno che forse non ha torto, è una piazza cui la serie C sta troppo stretta e la serie B troppo larga. A forza di sentirlo raccontare, ce ne siamo convinti tutti (...)

 

Quell’Arezzo dei primi anni ‘90 saltò in aria perché era vissuto al di sopra delle proprie possibilità: tanti soldi spesi, pochi investimenti, frenesia di vincere, la solita scellerata tendenza a volere tutto e subito. Colpa delle società che si erano succedute, poco lungimiranti; colpa della stampa che faceva casino; colpa della gente che voleva più della serie B, come se fosse un atto dovuto. In quel periodo erano (eravamo) drogati dall’ambizione, perché c’era stata la promozione dell’82, il campionato dell’84 che quasi ci portava in A, fino all’avvento di Butali, lo squadrone messo su per salire di categoria e precipitato clamorosamente in C1. Il sistema a quel punto fece crack. Sempre più debiti fino a quando, vent’anni fa, si arrivò alla fine.

 

l'assemblea che pose le basi per la rinascita della societàMa ciò che inquieta, oggi che è il 17 aprile un’altra volta, è che non è cambiato nulla. Con Mancini, sotto altre forme, si è ripetuto lo stesso errore di allora: vagonate di soldi spesi senza un criterio, senza pensare al domani ma solo all’oggi. A un certo punto, il collasso. La retrocessione del 2007 ha avuto lo stesso effetto di quella dell’88: non poteva che finire così, con il fallimento (non solo economico). Pure il clima intorno, in un corso e ricorso storico emblematico, ha conservato i tratti salienti di sempre: già nel ’93 si parlava della scomparsa dell’Arezzo come di vergogna per la città, di colpe degli industriali, di indifferenza generale. Come adesso  (...)

 

Il 17 aprile 1993, quando fu chiaro che l’Arezzo avrebbe dovuto giocare la serie D, nessuno poteva pensare che vent’anni dopo saremmo stati qui di nuovo, ancora. A lamentarsi delle stesse avversità, a piangere il solito latte versato, a spendere lacrime che cominciano a sembrare di coccodrillo (...)

L’Arezzo ha bisogno di un settore giovanile, di investire nel tempo, di avere le persone giuste al posto giusto, di fare calcio in un’altra maniera rispetto a prima, di mettere a frutto le esperienze del passato. Altrimenti è troppo facile prevedere dove saremo il 17 aprile 2033. Qui, a riscrivere e rileggere le stesse, identiche cose. E a domandarci perché, calcisticamente parlando, gli altri ce l’hanno più grosso di noi.



scritto da: Andrea Avato, 19/04/2022





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