SERIE D GIRONE E - 1a giornata
Flaminia | 4 set | 15 | Livorno |
Gavorrano | 4 set | 15 | Tau Altopascio |
Ghiviborgo | 4 set | 15 | Ponsacco |
Orvietana | 4 set | 15 | Arezzo |
Poggibonsi | 4 set | 15 | Grosseto |
Sangiovannese | 4 set | 15 | Ostiamare |
Seravezza | 4 set | 15 | Città di Castello |
Trestina | 4 set | 15 | Pianese |
Terranuova | 4 set | 15 | Montespaccato |
Il nostro Braccio di ferro!
Al Foro Italico, da buon tifoso amaranto, Daniele Bracciali è entrato in campo con la maglia di Floro Flores. Fosse stato per lui avrebbe giocato a calcio e non a tennis, anche se oggi gira il mondo con la racchetta e sforna aces a ripetizione. Federer e la Sharapova, Nadal e le Williams, Arezzo e l’Arezzo: un terzo grado in piena regola
TweetDaniele Bracciali, aretino di Quarata, fa il tennista di professione ma ama il calcio (quasi) più della racchetta. Fosse stato per lui non avrebbe mai smesso di correre dietro al pallone, solo che suo papà la pensava diversamente e lo spinse verso il mondo della volèe, del dritto e del rovescio. Oggi Bracciali è il numero 114 al mondo (è stato 49esimo un anno fa), difende i colori azzurri in coppa Davis e va a caccia di un’altra vittoria di prestigio dopo quella ottenuta nel 2006 sulla terra rossa di Casablanca. Ventinove anni, professionista dal 1995, un metro e 80 per quasi 80 chili di peso forma, il “Braccio” è la punta di diamante del tennis di casa nostra e ha pure un carattere simpaticamente guascone. L’ultima trovata risale a una quindicina di giorni fa, al Foro Italico, per gli Internazionali di Roma. Sul centrale è in programma l’attesa sfida tra lui e Nadal, lo spagnolo che poi si è aggiudicato il torneo, e Bracciali cosa fa? Entra in campo con la maglia di Floro Flores addosso, sfoggiando orgoglioso lo stemma dell’Arezzo sul cuore e il numero 83 sulla schiena. “Il giorno prima avevo visto un argentino fare la stessa cosa con la maglia del Napoli – dice lui. Allora ho chiamato il professor Giambrone, l’osteopata che mi segue e che lavora anche con l’Arezzo, e gli ho chiesto se poteva procurarmi una maglia di Floro. E’ andata così, con un unico contrattempo: il telecronista di Sky ha detto che indossavo la casacca del Livorno. Poi per fortuna si è corretto. Meno male che non l’ho sentito”. Bracciali, oltre che aretino vero, è tifoso amaranto di vecchia data. Se non è in giro per il mondo a disputare tornei, un salto allo stadio lo fa sempre. “Le tre partite in casa consecutive – ricorda lui – le ho viste tutte: Piacenza, Cesena, Verona. Abbiamo fatto un bel filotto, secondo me ci possiamo salvare”.
Immagino che con Floro, dopo quello che hai combinato a Roma, vi sarete sentiti.
“Sì, ci abbiamo riso sopra. Con qualcuno della squadra sono in ottimi rapporti. Goretti, per esempio, è anche venuto al Foro Italico a vedermi giocare. E Martinetti mi ha detto che ha un parente che fa l’istruttore di tennis”.
Antonio Conte l’hai conosciuto?
“Una sera a cena. Me l’hanno presentato dicendomi: questo è il mister dell’Arezzo. E io: ma quale mister, per me è sempre il mio capitano. Sai, sono juventino, Conte non lo posso dimenticare”.
I primi ricordi legati all’Arezzo quali sono?
“Sono molto sfumati, mio padre mi portava allo stadio quando c’era ancora la tribuna superiore e la tribuna inferiore, io ero piccolo. Il primo ricordo che ho riguarda la partita col Campobasso, quella in cui Neri sbagliò il rigore e poi segnò in rovesciata. E’ un flash che mi porto dentro”.
Primi idoli amaranto?
“Neri, ovviamente. Ma anche Tovalieri e Dell’Anno. Un altro che mi è rimasto impresso è Pozza”.
Raccontami un po’ di te. Quand’è che hai scelto il tennis?
“Più o meno a 14 anni, quando mi sono trasferito al centro federale di Cesenatico. Prima mi piaceva più il calcio, giocavo nel Quarata, anche se per anni mi sono diviso tra il pallone e la racchetta”.
E poi?
“Poi mio padre ha spinto per il tennis ed eccomi qua”.
A calcio in che ruolo giocavi?
“Libero, me la cavavo discretamente. Da ragazzino feci un provino per l’Inter al campo del Dante, mio padre non mi ci voleva portare perché aveva paura che mi prendessero”.
Ma il tennis ti piace o no?
“Dico la verità, fino a che non sono diventato professionista preferivo il calcio, tant’è vero che la domenica tornavo da Cesenatico per andare a giocare a Quarata. Piano piano però mi sono accorto che col tennis rendevo di più e ho proseguito”.
Con lo studio com’è andata?
“Scuola privata fino al quarto anno di ragioneria, poi mi sono iscritto al serale e ho preso la maturità. Una fatica tremenda, avevo le lezioni dalle sei alle undici di sera. Alla fine ho preso 42, non male”.
Di te si dice che all’inizio di carriera sei stato un talento incompreso, chela Federazione non ti ha seguito come avrebbe dovuto. E’ così?
“Per certi versi sì. I giovani di oggi sono molto più aiutati di quanto lo sono stato io. La Fit mi segue più ora ed è un paradosso, all’epoca c’era una disorganizzazione incredibile purtroppo”.
C’è qualcuno dei tuoi compagni di Cesenatico con cui sei rimasto in buoni rapporti?
“Quasi tutti. Con Pescosolido, Pozzi, Furlan uscivamo spesso insieme”.
Dicono che i tuoi punti di forza sono il dritto e il servizio, mentre devi migliorare nel rovescio e nel gioco a rete. Confermi?
“Mah, mica tanto, quasi quasi gioco meglio il rovescio che il dritto. Sono un tennista piuttosto omogeneo, prediligo le superfici veloci anche se poi l’unico torneo Atp che ho vinto è stato quello di Casablanca sulla terra rossa”.
C’è un difetto che stai tentando di correggere?
“La tenuta mentale. Mi capita di fare una grande partita e di steccare quella dopo. Devo essere più continuo”.
Come si mantiene la concentrazione?
“L’abitudine aiuta. Poi serve anche sfogarsi, a me capita spesso di spaccare le racchette durante la partita”.
Sei professionista da 12 anni. L’emozione più forte quando l’hai provata?
“Quando sono entrato per la prima volta sul centrale di Wimbledon. Io sono un tipo piuttosto freddo, però quel giorno contro Roddick fu speciale: ero nel tempio del tennis e la pressione si faceva sentire”.
Gli inglesi ti apprezzano, è vero?
“Sì, sui giornali mi chiamano dangerous Braccio, braccio pericoloso. Non male”.
Luzzi e Starace fanno parte come te del Blue Team che ha sede al Circolo Tennis Arezzo di San Clemente. Con loro che rapporto hai?
“Non dico che siamo fratelli ma quasi. Ci conosciamo da quando eravamo bambini, stiamo insieme molte ore al giorno, anche fuori dal campo”.
La vita del professionista, per la quale sarai di sicuro molto invidiato, cosa ti ha dato e cosa ti ha tolto in questi anni?
“Mi ha tolto un po’ di vita mia, di vita privata. Una vacanza di una settimana non l’ho mai potuta fare e un po’ mi pesa, anche se a ventinove anni certe cose si gestiscono in maniera più razionale. Dieci anni fa c’erano solo i sacrifici, oggi è diverso”.
Cosa ti ha dato il tennis?
“Mi ha aiutato a crescere, a capire me stesso, a organizzarmi. Biglietti aerei, spostamenti, tornei: coordino tutto da solo e ne sono fiero. Non c’è qualcun altro che lo fa per me”.
Bracciali e Arezzo: che rapporto c’è?
“A me Arezzo piace, ci sto bene. Quando sono qua mi dà gusto girare per fare l’aperitivo, andare al ristorante o al cinema. La vivo la città”.
Discoteca?
“Qualche volta, non spesso”.
Ti viene mai nostalgia di casa quando sei all’estero?
“Altro che. Vedendo quello che c’è in giro e come stanno gli altri, noi dobbiamo ritenerci molto fortunati. Di posti ne ho girati tanti, in Italia e fuori, e non ne ho trovato uno per il quale lascerei Arezzo”.
Mi descrivi il tuo mese standard?
“Volo aereo, viaggio, hotel, torneo, volo aereo, viaggio, hotel, torneo. Ogni due o tre tornei riesco a infilare in mezzo una settimana di allenamento qui ad Arezzo. Poi si riparte”.
Viaggi da solo?
“Con i tecnici del Blue Team. A volte con qualche altro tennista italiano”.
Fidanzato?
“Sì”.
Aretina?
“Sì”.
Nome?
“Non lo dico”.
Lei che pensa?
“Che è dura. Capita di non vedersi per venti giorni di fila e questo ci pesa. Fino all’anno scorso mi seguiva spesso, adesso si è laureata, lavora e non può prendere e mollare tutto”.
Hai un sogno, un’ambizione da realizzare?
“No, niente di particolare. Diciamo che il mio obiettivo è restare il più a lungo possibile ad alti livelli”.
Sei contento della tua carriera o hai qualche rimpianto?
“Per quello che ho fatto negli ultimi anni sono contento. Quand’ero più giovane, per colpa un po’ mia e un po’ di chi doveva seguirmi, ho perso del tempo prezioso. Tra i primi cento avrei potuto arrivarci prima”.
Dicevano che non avevi la testa.
“Quando un maestro di tennis dice che un ragazzo non va perché non ha la testa, vuol dire che non è un buon maestro. A me serviva uno che esaltasse le mie qualità e colmasse le mie lacune. Oggi ce l’ho per fortuna, prima no. Da questo punto di vista gli sport sono tutti uguali: un allenatore di calcio deve fare le stesse cose di un maestro di tennis”.
Federer è veramente il più forte giocatore di oggi?
“Sì, credo proprio di sì”.
Del tennis femminile cosa pensi?
“E’ un altro sport. Tecnicamente, tatticamente e atleticamente”.
Come sono queste tenniste?
“Mica tanto simpatiche”.
Neanche le Williams?
“Per carità. Sai quanto sono più disponibili Federer o Nadal rispetto alle donne? A Roma gli organizzatori erano preoccupati per la settimana femminile: meglio nove settimane con gli uomini, dicevano, che una con le donne”.
Una che salveresti c’è?
“Le italiane. Loro per fortuna sono diverse: la Camerin, la Santangelo, la Serra Zanetti”.
La Sharapova?
“Lasciamo perdere”.
Ok, ora che abbiamo fatto felici le donne, cambiamo tema. Perché ad Arezzo, secondo te, è così difficile fare sport ad alti livelli, in tutte le discipline? Manca la cultura?
“Per me è questione di soldi. Chi ce l’ha non può far vedere che ce l’ha oppure li tiene per sé. Poi incide anche la cultura: la mentalità di investire nello sport non è diffusa. Pensa che io, per esempio, non ho mai avuto uno sponsor di Arezzo. Nel calcio è uguale e per fortuna che è arrivato Piero Mancini. Non ci fosse stato lui, la serie B probabilmente chissà quando l’avremmo rivista”.
C’è qualcosa che un calciatore può invidiare a un tennista?
“La nostra indipendenza. Io rispondo solo a me stesso, un calciatore deve sempre rispondere al club. Però c’è anche il rovescio della medaglia. Se Floro retrocede, può cambiare squadra. Se io scendo nel ranking, scendo e basta”.
Il calcio non è ben visto dagli atleti delle altre discipline. Tu che dici?
“C’è un po’ d’invidia per i guadagni dei calciatori. Io non invidio niente, qualcosina riesco a mettere da parte, anche se mai ai livelli di chi gioca a pallone”.
Siamo al gioco della torre. Chi butti di sotto tra i tuoi amici, Luzzi o Starace?
“E come faccio? O butto tutti e due o non butto nessuno”.
Giornalisti che si occupano di tennis: Clerici o Scanagatta?
“Clerici non parla bene di me. Butto lui”.
Menchino Neri o Floro Flores?
“Che dilemma. Menchino è di Arezzo, è stato il mio primo idolo, ma non l’ho mai conosciuto. Salvo Floro”.
Se l’Arezzo resta in B?
“Vado ad allenarmi con loro con le scarpe che mi ha regalato Goretti. Promesso”.
Quando torni in campo?
“Presto. Ora il programma è denso di impegni: devo fare il Roland Garros, poi il Queens a Londra e infine Wimbledon. Tutti torneini…”.
scritto da: Andrea Avato, 25/05/2007
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